Memphis. Negro League (Cap.1)

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DUE SETTIMANE DOPO IL FATTO
Prima di attraversare si guardò intorno alla ricerca di particolari e non certo per paura di essere investito.
L’articolo di giornale sarebbe incominciato con la descrizione del quartiere dove sorgeva la casa dei familiari di B, il ragazzino ucciso dagli agenti della polizia qualche settimana prima.
Le strade erano deserte ed il silenzio era rotto dal canto di qualche passerotto, il pianto strozzato di un neonato ed in lontananza il rumore di un tosaerba.
Ogni passo che lo avvicinava alla casa dei W diventava spunto per scrivere qualcosa di interessante.
Giunto alla base dei quattro gradini all’ingresso dell’umile casa di legno la porta e la zanzariera bucherellata vennero trattenute dalla mano di un distinto signore di mezza età prima che sbattessero sul muro. Una voce femminile lo ringraziò invitandolo a rimanere ancora qualche ora in loro compagnia.
“Reverendo J grazie per la visita e per quello che sta facendo per noi. Sei sicuro di non voler restare ancora un po’?” L’uomo cominciò a scendere le scale porgendo i suoi saluti e declinando l’invito “Grazie W, devo proprio scappare. Hai visto che disastro l’esondazione del Mississippi, la cappella è sommersa d’acqua… Insomma, il buon Dio ci sta mettendo tutti a dura prova”
Nell’andarsene incrociò il giornalista al quale non rivolse nessun saluto. Si congedò con un’espressione severa.
“Scusi signora, posso?”
“Lei chi è?”
Il figuro che si presentò alla donna era leggermente in sovrappeso, con indosso un soprabito sgualcito beige ed in mano un block notes ed un lapis. Del viso grassoccio poteva riconoscere la barba non fatta da alcuni giorni ma non lo sguardo, celato sotto il cappello stile Humprey Bogart.
Naturalmente non le sfuggì il fatto che era di razza bianca.
“Sono un giornalista del…”
“Se ne vada. Quello che dovevo dire l’ho già detto. Ci lasci in pace.”
La signora W stava già per richiudere la porta ma l’uomo insistette
“Lotto contro le ingiustizie da quarant’anni, m’interessa questo caso…”
Dallo spiraglio della porta uscì una voce maschile.
“Mamma fallo entrare”
La donna rimase contrariata.
“Salve. Prego si accomodi e scusi il disordine”
Disse il figlio invitando il giornalista ad entrare in casa.
L’uomo entrò nell’ombra del soggiorno abbassando il frontino del cappello in segno di saluto. Poi lo tolse.
“Mamma vai di là, prepara qualcosa” aggiunse il ragazzo invitandola ad andare in cucina “e lei si accomodi, la prego” si rivolse all’uomo mentre lo invitava a sedersi sul divano.
“La scusi, ma capirà, è ancora sconvolta…”
L’uomo annuì guardandosi un po’ in giro.
“E’ lei con suo fratello?” chiese il giornalista indicando la foto appesa al muro sopra ad una vecchia televisione con a fianco un voluminoso orologio a pendolo.
“Sì. Uno dei pochi momenti felici che abbiamo passato assieme a nostro padre.”
“Capisco. Il signore nella foto è vostro padre quindi.”
Il dialogo rimaneva sospeso da brevi pause, scandite dal ticchettio dell’orologio meccanico.
In cucina la madre maneggiava stoviglie.
“Lui non è in casa?”
“No. Non lo vediamo da un po’ di tempo.”
“Capisco. Invece cosa mi può dire di suo fratello?”
Il ragazzo modificò l’espressione del viso con una smorfia, poi fece un lungo sospiro e rispose
“Mio fratello… Mio fratello è stato ucciso senza motivo”
QUALCHE GIORNO DOPO IL FATTO
“Porca di quella troia!”
Urlò furibondo il capo della polizia del distretto di Memphis circondato da tre avvocati e due funzionari governativi di razza bianca, ovviamente.
“Come ne veniamo fuori adesso? La comunità nera è in subbuglio!” Aggiunse.
Un uomo distinto che indossava un completo scuro, camicia bianca, cravatta nera e del quale atteggiamento non tradiva nessuna emozione prese la parola.
“Non è la prima volta che accadono episodi simili, forse nel Tennessee non ci siete abituati”
Il capo della polizia continuava ad agitarsi, sudava e batteva i pugni sulla scrivania mentre gli avvocati cercavano di calmarlo con scarso successo; la gelida espressione facciale del funzionario cominciò a tradire qualche segno di fastidio nei suoi confronti.
Si rivolse severo al responsabile del dipartimento.
“Adesso si calmi. Le ho già detto che non è la prima volta che accadono queste cose. Gli avvocati hanno il compito di scovare ogni macchia presente sulla fedina penale del ragazzo. I proiettili dai quali è stato investito sono finiti tutti tra la nuca e la schiena”
Il capo impallidiva e sudava freddo mentre pendeva dalle labbra dell’uomo che continuava a dare indicazioni
“Per fortuna sul rapporto c’è scritto che tentava la fuga. Certo, sarebbe stato meglio mettere accanto al cadavere qualche arma da fuoco con la matricola limata, abbiamo i magazzini pieni di armi sequestrate. Generalmente la procedura è questa. Non sarà facilissimo giustificare il fatto che siano stati sparati 13 colpi di cui 9 finiti addosso ad un ragazzo di colore. Per di più mentre era di spalle e disarmato”
Gli avvocati annuirono, uno di loro abbozzò una linea di difesa
“La famiglia del morto al momento è in mano ad un avvocato d’ufficio. Degli informatori ci hanno riferito che il Reverendo J, che è lo zio della madre e che presiede una cappella nel Mississippi, si sta muovendo per raccogliere fondi per la ricerca di un difensore migliore. Ma questo non ci spaventa.”
Un altro legale prese parte al discorso sfogliando delle carte
“Quando avvengono certi episodi lo Stato dispiega tutte le sue forze. Infatti siamo qua per questo.
Il ragazzo non aveva precedenti significativi ma nelle comunità nere frequentare gente con fedine penali luride è normale. In gergo la chiamiamo negro league”
Intervenne un altro avvocato
“Non dimentichiamo inoltre che il padre del ragazzo sta scontando ventitré anni per rapina a mano armata e tentato omicidio…”
Il capo della Polizia saltò sul tavolo
“Quindi mi volete dire che questo negro di merda non ha nemmeno la fedina penale sporca? Da cosa scappava allora?”
Lo interruppe seccato l’agente governativo
“Non mi pare nella situazione più adatta a chiamare il ragazzo negro di merda. Visto che non ci arriva da solo glielo spiego per l’ultima volta: non ci fa paura il giudizio della giuria, che è manipolabile a nostro piacimento. Quello che dobbiamo fare è ridisegnare l’evento in modo tale da convincere l’opinione pubblica. Abbiamo due obiettivi. Il primo è che il suo dipartimento non venga punito per questa cazzata, in parte giustificabile; il secondo è convincere la comunità nera in primis, gli Stati Uniti e tutto il mondo poi, che è stato inevitabile abbattere il soggetto perché altamente pericoloso per la comunità e fuori controllo al momento dell’accaduto. Chiaro adesso o devo farle un disegnino?”
Il capo si sentì rassicurato.
“Scusate, ma cercate di capirmi…”
Nessuno nella stanza si preoccupò di confortare l’uomo.
Ricomposero silenziosamente i loro fascicoli, presero i soprabiti sotto braccio e senza nessun cenno di saluto si avviarono verso l’uscita.
La porta si chiuse ed il capo della polizia rimase a riflettere nell’assordante silenzio del suo ufficio.