Cap.1 Ti troverò a Manhattan

Qualcuno di voi ha mai fatto una pazzia, un gesto estremo,  pur di raggiungere un desiderio? Vi siete mai sentiti come dei moscerini attratti da accecanti ed inafferrabili bagliori di luce verso i quali lasciarsi trasportare? Un tronco spinto dalla corrente del fiume, coscienti che alla fine ad aspettarvi ci siano le ripide di una letale cascata o semplicemente una spiaggia paradisiaca. Forse l’avrete fatto motivati da un amore o più probabile innamoramento, magari un capriccio oppure meschina avidità… A me, fino ad allora, non era mai capitato nulla di tutto ciò. La mia vita era sempre stata pianificata, discreta, rassicurante. Arida di sentimenti. A memoria non posso ricordare nemmeno un rischio programmato. Probabilmente risultava parecchio noiosa, vista da fuori.

Eppure fin da ragazzino rimanevo affascinato dai libri che narravano avventure. Isole di pirati e tesori nascosti; storie di esploratori e di navi ed aerei che sfidavano tempeste, tuoni, fulmini e saette con i loro misteriosi carichi. Rischi che non sempre andavano a buon fine; disgrazie che segnavano l’inizio di nuove spedizioni ed entusiasmanti racconti. Leggendo avevo cominciato a farmi una cultura generale appassionandomi in particolar modo di uno scrittore. Di lui, F.C., si sapeva poco se non  il suo nome e qualche notizia scritta sulle monocromatiche copertine dei suoi libri. A pensare oggi a quei spessi cartoncini grigiastri o verdognoli mi chiedo quale attrazione m’abbiano trasmesso nel vederli la prima volta; come fece ad incuriosirmi il contenuto? La copertina di un libro è come il viso di una ragazza, fondamentalmente. Parafrasando, mi sarei innamorato di una donna dall’aspetto orribile, ma infinitamente interessante. Ricordo anche con esattezza quando presi la decisione di andare a New York: un pomeriggio di fine estate, quando l’influenza stava finendo di martoriarmi ed i documenti di lavoro che adocchiavo caddero  inavvertitamente ai piedi della libreria. Nel raccoglierli, intontito da qualche linea di febbre e dall’aria pesante di casa, urtai la schiena sulla scrivania che finì con lo sbattere su una scansia rovesciando sulla mia testa un libro impolverato. Dopo un’imprecazione lo raccolsi per riporlo al suo posto ma non prima di soffermarmi a guardare la sfuggente immagine del, già allora, non più giovanissimo scrittore. Il volto dipinto era misterioso, un po’ cupo. Sfuggente. Non feci mai caso che tutta la collezione di F.C., cui ero forse unico possessore al mondo, non presentava nessuna foto ritratto. In pratica quel uomo che aveva contribuito ad alimentare la mia fantasia e di chissà quanti altri lettori, non aveva una faccia, un’immagine definita.

Quel pomeriggio mi ero trasformato in un moscerino e l’accecante bagliore fu la curiosità di scoprire chi fosse veramente F.C.

Le mie prime ricerche cominciarono in quel istante su internet dove ero sicuro avrei trovato tutto ciò cui andavo cercando. Aneddoti, curiosità, fotografie, biografia dello scrittore e via dicendo. Ero certo che in qualche minuto avrei potuto rispondere alle domande che, chissà come mai, mi ero posto solo allora dopo decenni in cui avevo letto i libri; notai che era passato così tanto tempo che forse avrei dovuto sfiorarli anche con uno straccio oltre che con lo sguardo. Incredibilmente in rete non trovai praticamente nulla. Una menzione del nome e delle sue opere senza nessun collegamento esterno. In pratica il mondo di F.C. conosceva esattamente e solamente ciò che io stesso possedevo: un nome e cognome, qualche prefazione di circostanza, i titoli dei suoi romanzi e gli indirizzi di due case editrici di poco conto, probabilmente già fallite da tempo. Entrambe di New York e questo poteva far pensare in qualche modo che F.C. potesse almeno provenire da quello Stato, forse quella città. Trovai anche un forum dove un certo Kiko56 si poneva la mia stessa domanda: qualcuno ha notizie di questo scrittore? Il suo intervento risaliva a dieci anni prima cui non seguitavano risposte.

Cinque giorni dopo mi trovai seduto in aeroporto ad aspettare la chiamata di imbarco per il mio volo. Di tanto in tanto verificavo sul monitor che non ci fossero cambiamenti di orario e che il gate d’uscita fosse effettivamente il numero B10. La stabile scritta azzurra New York JFK 9:00 era confortante agli occhi di chi come me, aveva volato pochissimo e non era pratico di aeroporti. Cercavo fiducia nelle persone sedute accanto a me e che sembravano sicuramente più a loro agio. Chi ascoltava musica, chi chiacchierava, chi leggeva un libro. Anch’io stavo leggendo. La storia di “Alice in Manhattan” la ricordavo abbastanza bene e questa volta la lettura consisteva nella ricerca di indizi o particolari che in qualche modo potessero portare il mio dito indice a premere il campanello giusto: quello della porta dell’autore del libro. Al lavoro mi credevano a casa con una forte influenza ed in pochi se ne sarebbero strappati le vesti; io attendevo un aereo che mi avrebbe portato a New York da lì a poco. Stavo incredibilmente vivendo la mia prima pazza avventura; la mia folle caccia al tesoro.

Durante il volo avevo proseguito nella lettura irrigidendomi e sudando freddo ad ogni vuoto d’aria, probabilmente provocando l’ilarità della mia imperturbabile obesa antipatica vicina di sedile con la quale avevo scambiato qualche occhiata e nessuna chiacchiera. Anche i controlli dell’immigrazione all’aeroporto JFK non mi avevano rubato troppo tempo così che in poco più di due ore dall’arrivo a New York mi trovai disteso sul letto nella stanza del mio albergo a pochi passi da Time Square. La stanchezza non aveva prevalso la mia voglia di uscire e curiosare la metropoli americana, fonte di ispirazione di migliaia di artisti tra cui lo scrittore cui andavo cercando. Non dovevo scordamelo, quello era il motivo per cui mi trovavo a New York. Cominciai ad addentrarmi nella nuova stravagante realtà composta da mille insegne esageratamente luminose, persone vestite da pupazzi e supereroi ed un interminabile affollamento creato da gente di ogni genere, razza, colore ed estrazione sociale. Era tutto in vendita ed i gadget strabordavano dai negozi e dalle bancarelle. Se nella vita avessi coltivato qualche rapporto sentimentalmente significativo in più, avrei dovuto acquistare un’ulteriore valigia solo per metterci i souvenir da regalare. Per fortuna non correvo questo pericolo. A Time Square scese la notte e la luminosità artificiale della piazza aumentò a dismisura. Mi sentì tramortito dalla folla e dall’incessante flash delle gigantesche insegne pubblicitarie tanto da svincolarmi ed entrare nella Broadway Avenue dove trovai un’atmosfera più nostalgica. L’avvicendarsi di insegne circondate da lampadine nel classico stile che contraddistingue Broadway e decine di colorate locandine reclamizzanti musical, mi avevano riportato a pensare agli anni 80.

Mi soffermai davanti la vetrina di un negozio di droni e dopo qualche minuto, ingolosito dal cibo esposto in vetrina,  entrai in un locale a mangiare qualcosa. Ordinai un semplice involtino con gli spinaci e, nel mentre la banconiera lo mise a scaldare, presi anche un’acqua ed una cheesecake. Pagai alla cassiera e tornai al banco a prendere il mio involtino. Provai a pescare un biglietto della mia personale lotteria chiedendo alla ragazza, che intanto mi stava porgendo il mio spuntino, se avesse mai sentito parlare dello scrittore F.C. o se si fosse mai visto da quelle parti. Ovviamente la sua risposta fu un no accompagnato da un sorriso che mal celava i suoi dubbi riguardanti la mia integrità psicologica.

Giusto il tempo di rientrare in albergo che ricevetti una chiamata dall’Italia.

Il numero era inequivocabilmente quello del mio superiore che lasciai squillare per qualche secondo nel mentre ipotizzavo il motivo di quella chiamata. Risposi senza che nessuna idea fosse pervenuta al cervello. Avevo finto una voce influenzata ma il capo chiese semplicemente chiarimenti su degli appunti che avevo lasciato in ufficio senza preoccuparsi troppo della mia salute. Prima di chiudere in effetti si interesso con distacco della mia condizione fisica. Poi esternò una battuta che mi fece sobbalzare dal letto. Sarai mica a New York, mi disse sarcastico, prima di suggerirmi di abbassare un po’ l’audio del film poliziesco che stavo, secondo lui, guardando. In realtà il sottofondo che sentiva non era quello di un film, ma l’originale colonna sonora che accompagna la Grande Mela giorno e notte. Non credo esistano città così caratterizzate dai suoni come New York.

Il giorno seguente mi recai subito alla ricerca della casa editrice che aveva distribuito gli ultimi sei libri dello scrittore che andavo cercando. Per farlo presi la metropolitana e raggiunsi la zona del Ground Zero. Quello che è stato costruito al posto delle Twin Towers si avvicina molto ad una nave spaziale. Perlomeno l’interno. Così come le enormi vasche commemorative con incisi i centinaia di nomi dei caduti evocano qualcosa di surreale. Incredibilmente anche quella tragedia è stata fonte di business come testimoniano i tanti gadget acquistabili nei paraggi. Non potevo fare a meno di visitare quel luogo che ha segnato una svolta epocale.

L’indirizzo della casa editrice corrispondeva ad una casa diroccata. Un inizio che odorava di fine.

Rimasi a guardare la casa con in mano il mio foglio con stampati i dati di riferimento. Impalato come un idiota che era ciò che in quel momento realmente sentivo di essere. Attorno a me grattacieli, camion dei vigili del fuoco e polizia, un incontro di reduci dalla guerra dell’Iraq, probabilmente. Ma come mi era saltato in mente di cercare uno scrittore di cui non conoscevo neppure il volto e di cui non sapevo nemmeno fosse vivo o morto, in una città dove vivono e transitano milioni e milioni di persone? Mi misi a camminare finché non arrivai al Battery Park da dove vidi la Statua della Libertà. Per un attimo l’emozione nel vederla mi fece dimenticare la sconfitta che stavo vivendo.

(continua)

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