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San Francisco. Il ricercatore

San Francisco, un giorno qualsiasi, ore 19:36

Il rumore della chiave rigirata nella serratura spezza il silenzio della casa affacciata sul porticciolo.

Dopo qualche tentativo la porta d’ingresso si apre spinta da un uomo impegnato sia a posare le chiavi nella tasca destra del soprabito che a sostenere una borsa di cartone piena di provviste.

“C’è nessuno in casa?” pronuncia ad alta voce l’uomo che nel frattempo si avvia verso la cucina attraversando il vasto ingresso. “Ho comprato qualcosina… Disturbo?”

Non risponde nessuno. Continua a destreggiarsi nel salone principale. Posa quindi il soprabito e si sposta in cucina dove appoggia la borsa sul tavolo. Comincia a smistarne il contenuto.

Apre la porta del frigo per sistemare i vasetti dello yogurt; la luce che illumina il suo viso evidenzia una persona di mezza età che ha apparentemente sostenuto una giornata piuttosto faticosa.

Una ragazza si presenta sulla porta della cucina indossando una t-shirt di almeno due taglie più grandi della sua e che le arriva quasi alle ginocchia. Sul davanti una scritta in rosso ben visibile USFCA. Oltre alla maglietta e delle calze di cotone arrotolate alla caviglia non indossa altro. Ha i capelli lunghi raccolti in modo approssimativo e rilascia qualche sbadiglio prima di rispondere stropicciandosi gli occhi

“Cavolo scusa, non ti avevo sentito… Bentornato!”

Lei è sicuramente più giovane rispetto a lui di almeno una decina di anni. I due hanno evidentemente molta confidenza ma ciò nonostante il loro saluto si limita ad essere verbale. Nessun bacio o abbraccio.

“Non ti ho proprio sentito rientrare” dice la ragazza che sembra risvegliarsi parola dopo parola. Lui è serenamente indaffarato a sistemare gli alimenti mentre l’ascolta in silenzio. Lei continua il dialogo “Scusami ma sono ancora frastornata dal jet lag. Certo che ti hanno dato una casa fantastica. Una vista incredibile!”

“La mamma sta bene? Si è ripresa?” chiede lui.

“Non troppo. Sai che era molto legata a papà. Lei e gli zii sono rimasti un po’ male che non ti sei presentato al funerale

Lui apre una lattina di una bevanda gassata e la porge alla sorella “E’ dispiaciuto anche a me. Tremendamente. Ma anche un minuto in meno di ricerca significa chissà quanti morti in più a causa della malattia che ci ha portato via papà. Il viaggio per l’Italia poi, non ne parliamo…. Altro che perdita di minuti.” Per un pò la stanza si riempie di malinconia.

“Certo che in valigia potevi metterti una t-shirt in più anziché usare la mia!” Cambia discorso ed i due tornano a sorridere.

“Allora sorellina, hai fatto un giro della città? Ti sono serviti i miei suggerimenti? Mentre ero al laboratorio ti ho pensata ed invidiata per un pochino. Vivo a San Francisco da tre anni e nemmeno ricordo com’è fatta”

“Certo che sono serviti! A dire il vero mi sono persa alla prima curva, ma forse è stato ancora più emozionante!”

“Perdersi a San Francisco in bicicletta è piuttosto rischioso con tutti i sali scendi che ci sono… Fammi vedere i polpacci”

Scostando la sedia sulla quale è seduto le si avvicina con tono scherzoso fingendosi interessato a controllare i polpacci mentre la ragazza si schiva altrettanto scherzosamente.

“Quindi questo giro? Che hai visto? Siediti, raccontami prima che me ne vada a dormire” la incalza mentre lei comincia a descrivere la sua giornata. Una giornata da turista, per la prima volta a San Francisco, ospite del fratello ricercatore all’Università.

“Dopo aver pedalato per un bel po’ di salite e quando avevo perso la speranza di arrivare al Golden Gate ho fatto una pausa qui, in questo parco guarda…” allunga lo smartphone dove compare la foto di un parco con vista panoramica della città “Beh, lo sai dove sei capitata? Ad Alamo Square… Queste case sono chiamate Painted Ladies. Uno dei posti più pittoreschi di San Francisco. Forse te l’avevo accennato il primo giorno” La ragazza pare stupita e divertita allo stesso tempo “Davvero? A saperlo… Ed io che ero infuriata convinta d’essermi persa…”

“Beh ti servirà da lezione. Franck A. Clark scrisse che se puoi trovare un percorso senza ostacoli, probabilmente non ti porta da nessuna parte. Sai quante scoperte ci sono capitate di fare quando pensavamo d’essere completamente fuori rotta! Ma continua…”

“Interessante questo Franck chi? Comunque a forza di pedalare e con i nuvoloni sopra la testa prima di vedere in lontananza il Golden Gate mi sono imbattuta in un cimitero americano. Tutte quelle croci bianche mi hanno fatto pensare a come qualsiasi distinzione terrena venga meno una volta trapassati”

Lui la interruppe nuovamente per qualche secondo “Siamo sull’Oceano Pacifico, le nuvole ci fanno compagnia quasi ogni mattina, ma poi spesso si diradano concedendoci belle giornate come quella che mi pare ci sia stata oggi…” “Ti pare?” chiede ironica lei “Mi pare perché stando chiuso in un laboratorio 10 ore al giorno con un occhio sul microscopio ad osservare vetrini non faccio molto caso a ciò che accade fuori. Insomma, il sole e la pioggia non influiscono molto nella mia giornata se non nel tratto di strada che mi separa dall’Università e viceversa. Però poi sei arrivata al benedetto Golden Gate che puoi vedere anche affacciandoti alla finestra del salone se è per quello…”

“L’avevo visto da casa ovviamente! Ma volevo vederlo da vicino!”

Lui ribatte “Mi pare di capire che tra Painted Ladies, cimiteri e dio sa solo cosa altro, ci sei arrivata… E’ lì… Bastava attraversare la strada, seguire la ciclabile in direzione sinistra e ci arrivavi in 5 minuti”

“Eh ho capito” continua la sorella “Senza saperlo ho seguito il consiglio di quel… Come si chiama?” “Franck A. Clark, è uno scrittore…” le ricorda il fratello alzando gli occhi al cielo.

“Poi la ciclabile l’ho fatta nel versante alto… Guarda che foto!”

La ragazza esibisce orgogliosamente gli scatti eseguiti la mattina della visita con lo smartphone. Il ponte ripreso da tutte le posizioni possibili ed immaginabili come fosse l’unica cosa realmente importante da vedere a San Francisco.

Continua nel suo racconto mentre lui scorre le foto amorevolmente come se non l’avesse mai visto.

“E’ davvero molto bello questo tratto di ciclabile. L’ho percorso tutto fino ad arrivare al molo Pier 39. A dire il vero mi sono inerpicata ancora tra le salite per poi ritrovarmi a Chinatown ed anche Little Italy credo… Almeno lì ho visto un’insegna con scritto Italian Athletic Club ed un signore si è rivolto a me in italiano…” Lui conferma: “Sì, il quartiere si chiama North Beach ed è molto vicino a quello cinese. Vicino all’Athletic Club, che è un luogo di ritrovo molto conosciuto dagli italiani, c’è una Chiesa molto importante, dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Ma immagino ci sarai andata via dritta senza vederla”

La ragazza sorride sarcasticamente mentre morde la mela che ha preso dal portafrutta.

“Ma io sono venuta a trovare te principalmente” lui la smentisce “Bugiarda! A proposito… Il tuo fidanzato? Stai sempre con quello… Come si chiamava? Quello che ho conosciuto proprio prima di partire…” La sorella inarca le sopracciglia sforzandosi di capire chi fosse quel ragazzo “Ma va! Storia vecchia. Ma poi che te frega a te delle mie vicende amorose? Tu piuttosto?” “Niente di che. Come vedi vivo da solo. Il mio lavoro mi porta via un sacco di tempo. A volte esco con qualche collega ma niente di serio. Invece il tuo giro per San Francisco? Continua a raccontarmelo che mi sembra d’esser stato lì con te”

La ragazza apre una scansia della cucina in cerca del cestino dove poter buttare il torsolo della mela. Mentre lui le indica quale porta aprire per trovarlo lei ha già fallito qualche tentativo. Curiosando tra le dispense non riesce a fare a meno di commentare “Certo che sei proprio italiano… Pasta, pasta, pasta, pomodoro, pomodoro, pomodoro… Ma che sei venuto a fare in California se con la testa sei rimasto in Italia?” Lui annuisce “Vero. Mi manca l’Italia. Ma qui ho ciò che mi serve per proseguire la ricerca. Fondi, credibilità, assistenza. Da voi in Italia i ricercatori sono considerati una sorta di perditempo. Gente che spreca denaro pubblico per non si sa bene cosa. In realtà è proprio con quel sistema che si sperpera denaro pubblico: istruire delle persone e costringerle a mettere in pratica le loro conoscenze altrove. Hai sviato la domanda di prima… ”

Lei abbandona l’espressione seriosa che ha mantenuto nel ascoltarlo.

“Vero. Come ti ho detto sono arrivata al molo Pier 39. Davvero spettacolare. Certo è una zona molto turistica ma i negozietti e locali della via…” “The Embarcadero, la via si chiama The Emabarcadero” l’istruisce lui “Ecco quella, ci siamo capiti, sono molto carini. Avrei voluto comprare qualcosina ma alla fine mi sono detta: perché non farmela regalare?” Ride e continua “Naturalmente ho visto anche le chiatte con le foche. Un altro mondo. Davvero, vivi in un altro mondo”

Lui abbassa lo sguardo verso il basso “Direi proprio di sì. Sai gli americani sono sereni, tranquilli, programmano qualunque cosa; anche le giornate libere. Tutto funziona come un orologio svizzero. Certo ci sono sempre più homeless in giro, gente schiacciata dal capitalismo sfrenato a cui è sempre più difficile resistere. Ma la mia fortuna è che sono italiano e noi proveniamo da un posto dove l’improvvisazione è nel nostro DNA. Noi siamo capaci di arrangiarci, di venire fuori da qualsiasi situazione. Loro no. Vanno in tilt se qualcosa non fa parte del programma.”

Lei ascolta mentre sfoglia altre foto sullo smartphone finché non spalanca gli occhi alla vista di un primo piano ad una foca. Gliela mostra orgogliosa.

“Eh già… Italiani. A proposito… Il mio volo di rientro è dopodomani, avremo un po’ di tempo da passare assieme noi due prima che passino altri tre anni?”

Lui sorseggia un po’ di vino dolce da un piccolo calice e le risponde “Certo. Possiamo andare a bere qualcosa qui vicino nel Fisherman’s Wharf anche se è super turistico. D’altronde tu sei turista qui… O no?”

“No” specifica seccata lei.

“Ok, vediamo come sono messo con il lavoro, magari ci spostiamo in tram. Ci sei già salita? Se tutto va come deve a breve sarà pubblicata una divulgazione scientifica piuttosto importante. Poi avrò più tempo per voi e forse anche per me. Adesso vado a dormire che domani mi devo svegliare presto. Good night sister

“Notte brother

Nessuno si impegna in una ricerca in fisica con l’intenzione di vincere un premio. È la gioia di scoprire qualcosa che nessuno conosceva prima.
(Stephen Hawking)

ANSA – Individuato il tallone di Achille dei tumori: è una proteina sosia di quella prodotta dalle cellule sane in condizioni di stress. Bloccandola si innesca l’autodistruzione delle cellule malate, come hanno indicato i test sui topi. Individuata nel tumore della prostata, potrebbe essere comune a molte forme di cancro. Pubblicata sulla rivista Science Translational Medicine, la scoperta si deve al gruppo di ricerca dell’università della California a San Francisco, guidato dall’italiano Davide Ruggero.

Ogni riferimento a persone o cose realmente esistenti o esistiti è puramente casuale. Questo post è dedicato a tutti i ricercatori italiani e non che contribuiscono a rendere l’essere umano più forte e consapevole.

Cap.1 Ti troverò a Manhattan

Qualcuno di voi ha mai fatto una pazzia, un gesto estremo,  pur di raggiungere un desiderio? Vi siete mai sentiti come dei moscerini attratti da accecanti ed inafferrabili bagliori di luce verso i quali lasciarsi trasportare? Un tronco spinto dalla corrente del fiume, coscienti che alla fine ad aspettarvi ci siano le ripide di una letale cascata o semplicemente una spiaggia paradisiaca. Forse l’avrete fatto motivati da un amore o più probabile innamoramento, magari un capriccio oppure meschina avidità… A me, fino ad allora, non era mai capitato nulla di tutto ciò. La mia vita era sempre stata pianificata, discreta, rassicurante. Arida di sentimenti. A memoria non posso ricordare nemmeno un rischio programmato. Probabilmente risultava parecchio noiosa, vista da fuori.

Eppure fin da ragazzino rimanevo affascinato dai libri che narravano avventure. Isole di pirati e tesori nascosti; storie di esploratori e di navi ed aerei che sfidavano tempeste, tuoni, fulmini e saette con i loro misteriosi carichi. Rischi che non sempre andavano a buon fine; disgrazie che segnavano l’inizio di nuove spedizioni ed entusiasmanti racconti. Leggendo avevo cominciato a farmi una cultura generale appassionandomi in particolar modo di uno scrittore. Di lui, F.C., si sapeva poco se non  il suo nome e qualche notizia scritta sulle monocromatiche copertine dei suoi libri. A pensare oggi a quei spessi cartoncini grigiastri o verdognoli mi chiedo quale attrazione m’abbiano trasmesso nel vederli la prima volta; come fece ad incuriosirmi il contenuto? La copertina di un libro è come il viso di una ragazza, fondamentalmente. Parafrasando, mi sarei innamorato di una donna dall’aspetto orribile, ma infinitamente interessante. Ricordo anche con esattezza quando presi la decisione di andare a New York: un pomeriggio di fine estate, quando l’influenza stava finendo di martoriarmi ed i documenti di lavoro che adocchiavo caddero  inavvertitamente ai piedi della libreria. Nel raccoglierli, intontito da qualche linea di febbre e dall’aria pesante di casa, urtai la schiena sulla scrivania che finì con lo sbattere su una scansia rovesciando sulla mia testa un libro impolverato. Dopo un’imprecazione lo raccolsi per riporlo al suo posto ma non prima di soffermarmi a guardare la sfuggente immagine del, già allora, non più giovanissimo scrittore. Il volto dipinto era misterioso, un po’ cupo. Sfuggente. Non feci mai caso che tutta la collezione di F.C., cui ero forse unico possessore al mondo, non presentava nessuna foto ritratto. In pratica quel uomo che aveva contribuito ad alimentare la mia fantasia e di chissà quanti altri lettori, non aveva una faccia, un’immagine definita.

Quel pomeriggio mi ero trasformato in un moscerino e l’accecante bagliore fu la curiosità di scoprire chi fosse veramente F.C.

Le mie prime ricerche cominciarono in quel istante su internet dove ero sicuro avrei trovato tutto ciò cui andavo cercando. Aneddoti, curiosità, fotografie, biografia dello scrittore e via dicendo. Ero certo che in qualche minuto avrei potuto rispondere alle domande che, chissà come mai, mi ero posto solo allora dopo decenni in cui avevo letto i libri; notai che era passato così tanto tempo che forse avrei dovuto sfiorarli anche con uno straccio oltre che con lo sguardo. Incredibilmente in rete non trovai praticamente nulla. Una menzione del nome e delle sue opere senza nessun collegamento esterno. In pratica il mondo di F.C. conosceva esattamente e solamente ciò che io stesso possedevo: un nome e cognome, qualche prefazione di circostanza, i titoli dei suoi romanzi e gli indirizzi di due case editrici di poco conto, probabilmente già fallite da tempo. Entrambe di New York e questo poteva far pensare in qualche modo che F.C. potesse almeno provenire da quello Stato, forse quella città. Trovai anche un forum dove un certo Kiko56 si poneva la mia stessa domanda: qualcuno ha notizie di questo scrittore? Il suo intervento risaliva a dieci anni prima cui non seguitavano risposte.

Cinque giorni dopo mi trovai seduto in aeroporto ad aspettare la chiamata di imbarco per il mio volo. Di tanto in tanto verificavo sul monitor che non ci fossero cambiamenti di orario e che il gate d’uscita fosse effettivamente il numero B10. La stabile scritta azzurra New York JFK 9:00 era confortante agli occhi di chi come me, aveva volato pochissimo e non era pratico di aeroporti. Cercavo fiducia nelle persone sedute accanto a me e che sembravano sicuramente più a loro agio. Chi ascoltava musica, chi chiacchierava, chi leggeva un libro. Anch’io stavo leggendo. La storia di “Alice in Manhattan” la ricordavo abbastanza bene e questa volta la lettura consisteva nella ricerca di indizi o particolari che in qualche modo potessero portare il mio dito indice a premere il campanello giusto: quello della porta dell’autore del libro. Al lavoro mi credevano a casa con una forte influenza ed in pochi se ne sarebbero strappati le vesti; io attendevo un aereo che mi avrebbe portato a New York da lì a poco. Stavo incredibilmente vivendo la mia prima pazza avventura; la mia folle caccia al tesoro.

Durante il volo avevo proseguito nella lettura irrigidendomi e sudando freddo ad ogni vuoto d’aria, probabilmente provocando l’ilarità della mia imperturbabile obesa antipatica vicina di sedile con la quale avevo scambiato qualche occhiata e nessuna chiacchiera. Anche i controlli dell’immigrazione all’aeroporto JFK non mi avevano rubato troppo tempo così che in poco più di due ore dall’arrivo a New York mi trovai disteso sul letto nella stanza del mio albergo a pochi passi da Time Square. La stanchezza non aveva prevalso la mia voglia di uscire e curiosare la metropoli americana, fonte di ispirazione di migliaia di artisti tra cui lo scrittore cui andavo cercando. Non dovevo scordamelo, quello era il motivo per cui mi trovavo a New York. Cominciai ad addentrarmi nella nuova stravagante realtà composta da mille insegne esageratamente luminose, persone vestite da pupazzi e supereroi ed un interminabile affollamento creato da gente di ogni genere, razza, colore ed estrazione sociale. Era tutto in vendita ed i gadget strabordavano dai negozi e dalle bancarelle. Se nella vita avessi coltivato qualche rapporto sentimentalmente significativo in più, avrei dovuto acquistare un’ulteriore valigia solo per metterci i souvenir da regalare. Per fortuna non correvo questo pericolo. A Time Square scese la notte e la luminosità artificiale della piazza aumentò a dismisura. Mi sentì tramortito dalla folla e dall’incessante flash delle gigantesche insegne pubblicitarie tanto da svincolarmi ed entrare nella Broadway Avenue dove trovai un’atmosfera più nostalgica. L’avvicendarsi di insegne circondate da lampadine nel classico stile che contraddistingue Broadway e decine di colorate locandine reclamizzanti musical, mi avevano riportato a pensare agli anni 80.

Mi soffermai davanti la vetrina di un negozio di droni e dopo qualche minuto, ingolosito dal cibo esposto in vetrina,  entrai in un locale a mangiare qualcosa. Ordinai un semplice involtino con gli spinaci e, nel mentre la banconiera lo mise a scaldare, presi anche un’acqua ed una cheesecake. Pagai alla cassiera e tornai al banco a prendere il mio involtino. Provai a pescare un biglietto della mia personale lotteria chiedendo alla ragazza, che intanto mi stava porgendo il mio spuntino, se avesse mai sentito parlare dello scrittore F.C. o se si fosse mai visto da quelle parti. Ovviamente la sua risposta fu un no accompagnato da un sorriso che mal celava i suoi dubbi riguardanti la mia integrità psicologica.

Giusto il tempo di rientrare in albergo che ricevetti una chiamata dall’Italia.

Il numero era inequivocabilmente quello del mio superiore che lasciai squillare per qualche secondo nel mentre ipotizzavo il motivo di quella chiamata. Risposi senza che nessuna idea fosse pervenuta al cervello. Avevo finto una voce influenzata ma il capo chiese semplicemente chiarimenti su degli appunti che avevo lasciato in ufficio senza preoccuparsi troppo della mia salute. Prima di chiudere in effetti si interesso con distacco della mia condizione fisica. Poi esternò una battuta che mi fece sobbalzare dal letto. Sarai mica a New York, mi disse sarcastico, prima di suggerirmi di abbassare un po’ l’audio del film poliziesco che stavo, secondo lui, guardando. In realtà il sottofondo che sentiva non era quello di un film, ma l’originale colonna sonora che accompagna la Grande Mela giorno e notte. Non credo esistano città così caratterizzate dai suoni come New York.

Il giorno seguente mi recai subito alla ricerca della casa editrice che aveva distribuito gli ultimi sei libri dello scrittore che andavo cercando. Per farlo presi la metropolitana e raggiunsi la zona del Ground Zero. Quello che è stato costruito al posto delle Twin Towers si avvicina molto ad una nave spaziale. Perlomeno l’interno. Così come le enormi vasche commemorative con incisi i centinaia di nomi dei caduti evocano qualcosa di surreale. Incredibilmente anche quella tragedia è stata fonte di business come testimoniano i tanti gadget acquistabili nei paraggi. Non potevo fare a meno di visitare quel luogo che ha segnato una svolta epocale.

L’indirizzo della casa editrice corrispondeva ad una casa diroccata. Un inizio che odorava di fine.

Rimasi a guardare la casa con in mano il mio foglio con stampati i dati di riferimento. Impalato come un idiota che era ciò che in quel momento realmente sentivo di essere. Attorno a me grattacieli, camion dei vigili del fuoco e polizia, un incontro di reduci dalla guerra dell’Iraq, probabilmente. Ma come mi era saltato in mente di cercare uno scrittore di cui non conoscevo neppure il volto e di cui non sapevo nemmeno fosse vivo o morto, in una città dove vivono e transitano milioni e milioni di persone? Mi misi a camminare finché non arrivai al Battery Park da dove vidi la Statua della Libertà. Per un attimo l’emozione nel vederla mi fece dimenticare la sconfitta che stavo vivendo.

(continua)

Controviaggio: Qualcosa è cambiato

Meno idee si hanno e meno si è disposti a cambiarle

Michelangelo

Della notte appena trascorsa sotto il temporale erano rimaste solo delle inquietanti nubi nere e pozzanghere tanto vaste e profonde da rallentare il flusso del traffico. Avevo trascurato il fatto che avrei perso parecchio tempo prima di svincolarmi dagli ingorghi e raggiungere l’ufficio. Pagai la disattenzione con circa venti minuti di ritardo ma almeno ebbi tempo di riempirmi un po’ lo stomaco prima di uscire di casa.

Al mio ingresso nella conference room erano già tutti schierati ai bordi del lungo tavolo dove ad ogni sedia  corrispondevano colleghi, fotografi, cameraman ed analisti e davanti a loro report pronti ad essere esposti al grande capo, l’unico in piedi, che nel frattempo si impegnava a pulire la lavagna magnetica da appunti precedenti.

stonesProprio lui, ovviamente, esordì in tono severo “finalmente ci siamo tutti, possiamo incominciare”. Notai qualche sguardo indirizzato nei miei confronti con l’intento evidente di imputarmi l’attesa ma non ebbi tempo di scusarmi perché il direttore non perse tempo nel arrivare al punto: “Colleghi, avremo modo di constatare dati alla mano che le cose non vanno malissimo, ma non basta. Non possiamo accontentarci, non siamo qui per galleggiare. Dobbiamo cambiare linea così rischiamo troppo e tutto” mentre lo diceva si muoveva coprendo con la sua snella e decisa figura i pochi appunti rimasti sul boarding; incalzò “se qualcuno di voi ha delle idee questo è il momento per tirarle fuori. Tutte. Anche quelle che a voi sembrano più idiote potrebbero essere vasi di pandora che ci conducono a qualcosa di grande” Le facce preoccupate fecero presto spazio a sorrisini di compiacimento a chi ricopriva ruoli creativi, come il mio, mentre irrigidirono ulteriormente quelli degli analisti che si sentirono esclusi da questa prima richiesta.

Il primo ad esordire fu S che era sempre la più preparata in questi casi. I pezzi che scriveva erano sempre molto dettagliati e ricchi di informazioni ed il lettore, specie quello femminile, la ripagava con numerose gratificazioni “Personalmente credo ci debba essere più sintonia tra i vari pezzi. Mi spiego, quello che pubblico spesso fa difficoltà ad agganciarsi a quello che scrive lui, ad esempio”. Ancora una volta mi ritrovai tutti gli sguardi addosso, perché “lui” ero io. Erano due i motivi per cui ammiravo S: l’aspetto fisico, cui un certo rigore si opponeva idealmente all’immagine di lei in una sognata intimità e la sua sete di successo che la rendeva implacabile ed impeccabile. Ma senti sta pezza di merda, pensai all’occasione facendo svanire tutti i sogni precedenti e sentendo la fronte raffreddarsi all’improvviso. Non ebbi tempo di rispondere che il primo analista, dopo averle staccato di dosso a fatica lo sguardo incantato, partì con un elenco interminabile riguardante i numeri che effettivamente poteva vantare S.

“Sì d’accordo S. grazie ed anche a lei, ma l’intento di oggi non è quello di perfezionare, ma di stravolgere” tagliò corto il capo. “Noi possiamo sicuramente osare di più” intervenne F, responsabile del canale dedicato su You Tube, prontamente incalzato a continuare dal direttore “abbiamo grossi margini di miglioramento, con interviste più approfondite e d’inchiesta. Dobbiamo coinvolgere più persone, ma non è sempre facile”. I cameraman annuivano mentre seguivano le indicazioni del loro responsabile che invece fece innervosire non poco il big boss che lo interruppe “Facile? E chi cazzo ha mai parlato di cose facili? Qualcuno di voi ha forse avuto facilmente il posto che ricopre? In caso posso prendere informazioni ed altrettanto facilmente vi ritrovereste col culo sul marciapiede di fuori. Qui niente è facile. Entusiasmante, importante, crescente, ma non facile”

Erano passati parecchi minuti di discussione e non sembrava esserci soluzione alle richieste di cambiamento. L’aria si era appesantita nonostante i continui flussi di aria condizionata, quasi inefficaci al cospetto dell’umidità emessa dalle persone all’interno della sala e di quella che si intravedeva dalle finestre che davano sul parco difronte allo stabile.

La segretaria personale del grande capo aveva provvidentemente fatto irruzione nell’ufficio chiamandolo a rispondere al telefono con una certa urgenza, così da permetterci una pausa. Gli analisti si raggrupparono tra loro e cominciarono a snocciolare dati, scartare cibi e sorridere di nuove scoperte nel mondo dei videogame, S aprì la propria borsetta, estrasse lo smartphone e non esitò un istante a digitarci centinaia di parole probabilmente dirette al suo amante o a qualche amica di pettegolo; i fotografi si sedettero sul tavolo in compagnia dei cameraman smaniosi di fumare qualche sigaretta e scambiarsi informazioni sui nuovi viaggi in agenda. Rovistai d’istinto, senza un motivo specifico, nella mia borsa; forse in cerca del tablet. Mi capitò tra le mani un libro che avevo cominciato a leggere ma non ero mai riuscito a portare avanti. Viaggio in Portogallo, di José Saramago. Una guida turistica spirituale, poetica e romanzata del Paese lusitano che aveva dato i natali allo scrittore premio Nobel della letteratura.

Il capo rientro e le persone cominciarono a ricomporsi lasciando da parte almeno apparentemente il clima apatico che si era formato.

“Un romanzo!” esclamai attirando questa volta volutamente gli sguardi “…sembrerà di leggere un romanzo!” Nessuno aveva ancora capito cosa stava balenando tra la mia testa in quel momento, ma ignaro di tutto continuai “la rete è piena stracolma di indirizzi, numeri, prezziari, indicazioni e suggerimenti su cosa fare, come e perché” si era spento anche l’ultimo brusio “mancano indicazioni per raggiungere l’anima, la spiritualità, il carattere dei luoghi.” S sorrise scettica ed accennò una timida interazione che venne sommessa dal capo che mi fece cenno di andare avanti “Ci sono migliaia di siti uguali, diari di viaggiatori che ci raccontano quello che hanno fatto e quello che dobbiamo fare per seguirne le orme. Va bene, grazie, utili. Noi però possiamo offrire qualcosa di diverso evitando di togliere o opacizzare la convinzione del viaggiatore di essere il primo scopritore di ciò che vede. Quella sgradevole sensazione di bere da un bicchiere dove hanno già bevuto altre persone.” “Interessante”, si lasciò scappare F tra lo sguardo esterrefatto degli analisti e quello visibilmente stizzito di S “inutile stare a descrivere le dimensioni del bicchiere e la bevanda che ci puoi versare. Descriverò chi la bevanda l’ha prodotta, come e dove vive, i suoi amori e le sue paure. Ci saranno aneddoti di vita, di speranze, di gioie che alla fine la bevanda nel bicchiere sarà un frullato di sentimenti. Ecco con cosa si asseterà il mio lettore.” S questa volta non riuscì a trattenersi “ma così andiamo a stravolgere tutto!” mettendo sul vassoio d’argento la mia rivincita lavorativa che non tardò ad arrivare per bocca di chi decideva “Quello che avevo chiesto”

La gioia di aver contribuito a trovare la nuova via lasciò da parte inutili rancori e prese ancora più slancio: “e credo che far interagire la parte romanzata con quella informativa e di ricerca possa essere di ulteriore successo. Il lettore vorrà ricalcare le orme del protagonista ed andare a visitare il set”  non tardò la puntualizzazione del capo “Bene S, compito tuo spiegare come arrivarci a questo set

La stanchezza e la staticità mentale papabile fino a prima del mio speech d’improvviso imboccarono la via della creatività e da lì a poco la lavagna diventò un campo di battaglia carica di informazioni, collegamenti e sottolineature.

Minuto dopo minuto si intensificava frenetico il lavoro di restauro della nostra opera.

Nel frattempo però accadde qualcosa di strano ed inspiegabile: i colleghi cominciarono uno ad uno a sbiadirsi, disperdersi tra le luci della stanza, scomparire lentamente, come anime libere che si introducevano ed incastravano nel progetto che assimilava queste forze per ingigantirsi, colorarsi, prendere vita.  Rimasi lì, a guardare ciò che stava accadendo, quasi incredulo che fossi proprio io la causa di tutto ciò. Le persone con le quali avevo ideato questa nuova formula erano scomparse ed anche la lavagna, il tavolo e l’ufficio si scomposero in tanti piccoli pezzi che volarono all’orizzonte lasciandomi solo in mezzo al nulla.

Solo, con le mie fantasie ed un nuovo progetto tra le mani.

Ecco cosa si deve combattere

Je-suis-Charlie-liberi-di-raccontare-liberi-di-vivereCi risiamo…

E’ partita l’ennesima caccia al nemico. Invisibile, cattivo, spietato. Il mostro che vuole invaderci e conquistarci sgozzando gole e decapitando teste, di donne e bambini, di tutti gli infedeli, al grido di un dio intransigente.

Abbiamo da poco ripulito di coriandoli e tappi di champagne le strade nelle quali abbiamo accolto speranzosi il 2015 ma la mentalità e le informazioni cui siamo sottoposti utilizzano la stessa tecnica del medioevo quando i crociati, truppe militari cristiane capeggiate dalla Chiesa, partivano in estenuanti missioni pacifiche verso il lontano Medio Oriente dove a suon di mazzate date e prese ergevano crocifissi qua e là nella speranza di monopolizzare il mondo. Allora Saladino veniva descritto come feroce e, guarda caso, taglia teste: era il Bin Laden dei tempi antichi. In realtà non esistono documenti risalenti all’epoca che testimonino di una testa mozzata ad un qualsiasi cristiano, come oggi ancora non esistono prove di armi chimiche utilizzate da Saddam Hussein.

Giustificazioni mediatiche per raggiungere il consenso del proprio popolo.

Il nemico deve avere accentuate diversità, deve essere facilmente riconoscibile e possibilmente un po’ sporchino e disagiato. I popoli poco o per niente integrati alla cultura occidentale sono un ottimo obiettivo da combattere. Colpire senza capire.

Per difendere il proprio orticello le persone comuni hanno bisogno di difesa, di sicurezza; dal punto di vista politico avere un popolo spaventato ed allertato davanti alle diversità fa comodo per diverse ragioni: la prima perché così l’attenzione si focalizza altrove rispetto i malaffari che si sviluppano giornalmente all’interno dei palazzi di vetro, la seconda perché contrastare militarmente le minacce dell’invisibile nemico generano un business incalcolabile tra ricerca di nuove tecnologie belliche e preventive, acquisto di armamentari, mezzi corazzati e quant’altro serve a condurre una guerra tradizionale. Morale della favola il giro di affari si ingrossa e le persone si barricano terrorizzate nelle proprie case.

Questo è quello che accade e sarebbe sotto gli occhi di tutti ma accettare verità diverse non è semplice, specie se queste insinuano dubbi sulla condotta non solo storica occidentale, che negli anni hanno colonizzato mezzo mondo spazzando via intere culture o si sono intromesse in politiche estere con guerre liberatorie e confini disegnati con il righello dopo un abbondante pranzo, ma anche atteggiamenti personali caratterizzati da egoismo e chiusura.

D’altronde essere perennemente allertati che un nemico è alle porte di certo non facilita aperture.

L’idea di massima dovrebbe essere che dovremmo fornire i nostri vicini di mezzi e strutture per costruirsi il proprio avvenire, per evitare che in assenza di crescita autonoma questi prendano di mira proprio il nostro orticello.

Partendo dal presupposto che troppi ancora confondono arabo con musulmano e che farebbero bene ad informarsi prima di sparare (sentenze), arriviamo presto alla soluzione a questo tipo di problema comunitario: gli esecutori terroristi, così come quelli mafiosi o i semplici delinquenti, al 99% dei casi provengono da realtà disagiate ed instabili, dove le alternative alla scelta del proprio futuro sono completamente assenti. Le uniche speranze sono riposte in promesse economiche o religiose, quest’ultime perché incontrovertibili. Nessuno potrà mai dimostrare che dio non esiste, nessuno potrà mai dimostrare che chi promette in suo nome dica stupidaggini.

L’unica ancora di salvezza a tal proposito è l’istruzione. Insegnare la logica, completamente assente nella mentalità dei Paesi nord africani ad esempio, istituire università, investire nella ricerca e nello sviluppo, arte, cultura, creare speranze. Questo si deve fare.

Ecco perché le matite e le menti di chi le utilizzano per diffondere cultura vanno salvaguardate, nonostante non sempre il loro carboncino tratteggi linee adeguate e rispettose.

Per sconfiggere il terrorismo è inutile bombardare case altrui per colpire presunti combattenti sacrificando migliaia di persone innocenti e disperate costrette a fuggire altrove alla ricerca di nuova vita. Anime perse che rischiano di essere rimpiazzate da anime malvagie.

Per sconfiggere il terrorismo è inutile continuare la corsa agli armamenti ed ostinarsi a sostenere le invasioni israeliane in Palestina solo perché bene o male hanno un modello di vita occidentale e sono stati pesantemente puniti dalla storia recente.

Il vero nemico della libertà è l’ignoranza, ed è quella che va combattuta con ogni mezzo e con tutte le nostre forze perché, che ci piaccia o no, questo mondo malato ce lo dobbiamo condividere tra tutti.