Algarve. Alla ricerca della fine

Erano passati pochi giorni da quando scelsero la meta dove trascorrere del tempo assieme cercando di lasciare alle spalle, consapevoli che ciò non sarebbe mai potuto accadere, quello che era capitato e che sembrava lontano anni luce dalle loro vite. Allo scopo, pensò P, sarebbe servito un luogo superficiale, condito da un po’ di storia che non guasta, ma predisposto al divertimento ed ai sorrisi. Anche se di circostanza o d’interesse. A letto immersi tra le lenzuola stropicciate ed il volto semiscoperto da un grande piumone avevano sfogliato riviste, cataloghi, litigato con i cavi della ricarica dei loro smartphone e tablet scorrendo immagini che si riflettevano colorate sui loro volti ed alla fine avevano deciso per il Portogallo. L’Algarve per la precisione.
Dalle informazioni né risultava una regione molto poco frequentata in quel periodo dell’anno ed orientata ad un turismo frivolo piuttosto che culturale. La stagione non avrebbe permesso di usufruire delle poche spiagge presenti ed anche il mare, l’imponente Oceano Atlantico, non sembrava particolarmente avvezzo a ricevere visite se non quelle degli scalmanati surfisti.
Nei minuti che seguirono la scelta definitiva un’ulteriore scorta di futili informazioni, cui viaggiatori più esperti farebbero ben volentieri a meno, riempì i loro pensieri ed i libricino di appunti di E.
Forse l’esser giovani richiede un pegno quantificato in piccole stupidità quotidiane da compiere. Chissà che la vecchiaia non cominci proprio al rifiuto di farlo.
Arrivati, il primo impatto non fu dei migliori, complice una giornata anonima che aveva alimentato ulteriori incertezze nei ragazzi che però non si scoraggiarono ma anzi, trovarono un posto suggestivo dove fare colazione e pianificare le ore seguenti. Le loro parole scorrevano come l’acqua del Rio Gilao che attraversava Tavira, cittadina abituata a ricevere turisti ma altresì storica ed affascinante. I loro smartphone una volta rassicurati i premurosi genitori e consultato Google Map vennero utilizzati solo per fare foto, come al caratteristico ponte romano di Tavira. Prima di lasciare il locale avevano riempito di domande il figlio della proprietaria, loro coetaneo, che con grande pazienza ed abilità linguistica aveva illustrato i luoghi più interessanti, a suo avviso, da visitare. Dopo aver esplorato un breve tratto del corso del fiume ed aver osservato le numerose piccole imbarcazioni di pescatori ormeggiate, attraversarono il verde Jardim Publico prima e la Camara Municipal poi per ritrovarsi in pochi minuti a salire i gradini che li avrebbe visti ospiti del castello che guarda la città dall’alto. Le alte mura della fortezza servirono ai due giovani intraprendenti a realizzare foto panoramiche che in seguito sarebbero orgogliosamente finite sui social. Tra le tante ci fu anche una che li ritraeva entrambi, scattata da una turista spagnola di passaggio. L’unica in cui E pareva realmente felice.
La giornata scorse veloce tra momenti scherzosi ed obbligate parentesi spirituali al cospetto delle Chiese de Santa Maria do Castelo e de Santiago dove sui bianchi muri cominciò a riflettere una timida luce che pareva voler intrufolarsi tra le goliardiche iniziative della coppia, facendosi spazio tra le indifferenti ed antipatiche nuvole scure e grassocce intente nel loro lineare cammino. La mattinata a Tavira trascorse serena e solo l’amorevole percezione di P nei confronti della sua compagna e della stanchezza che la stava malvagiamente artigliando interruppe altre ore di spensieratezza. Lei dormì profondamente per tutto il pomeriggio, P invece si diede silenziosamente da fare per cercare di sorprenderla al suo risveglio. Si prodigò a ricercare un ristorante dove passare la sera.
A tavola ancora una volta liquidarono al telefono i loro genitori con frasi sbrigative che il padre di lei interpretò, giustamente, che i ragazzi non desiderassero interferenze durante i loro momenti di svago. La madre di E mantenne le sue ansie e continuò a ripeterle premurosamente di riguardarsi e di assumere i medicinali.
I due intanto si stavano godendo una bottiglia di Soalheiro Allo. La scelta di questo vinho verde portoghese era stata suggerita da un’intuizione che non c’entrava nulla con la reale origine del nome. P si era ritrovato a sfogliare la lista vini come se il sesso forte sia condannato ad esser conoscitore degli uvaggi per forza, ma non ci pensò nemmeno un istante a nascondere la sua impreparazione agli occhi di E, che tra l’altro non avrebbe potuto nemmeno berlo, scegliendo una bottiglia a casaccio tra i nomi più affascinanti e fugaci sguardi al prezzo. Avevano optato per il vinho verde perché un vino verde, effettivamente, non l’avevano mai visto. Quando arrivò la bottiglia del Soalheiro si resero conto che un vino verde mai l’avrebbero visto né tantomeno bevuto. Il riferimento non era dovuto alla pigmentazione della bevanda, che risultava paglierina come un qualsiasi vino bianco, bensì un misto tra vino giovane e vino maturo. Va consumato non più tardi di un anno dopo l’imbottigliamento si informò ulteriormente P su wikipedia.
Verde era riferito alla maturazione quindi e non al colore. Senza saperlo avevano scelto il vino più adatto per brindare alla loro condizione.
Stavano bene. Il locale era pieno di persone e la confusione avrebbe procurato fastidio a chiunque cercasse un po’ di quiete. Eppure loro si sentivano soli tra la gente. Continuarono a parlare dei loro progetti che crescevano in proporzione al vino consumato.
Colline ricoperte da un interminabile manto verde, alberi dall’aspetto centenario, bovini liberi di pascolare tra le praterie fu il paesaggio che accompagnò i due nel pezzo di autostrada che stavano percorrendo il mattino seguente per raggiungere uno dei punti più estremi dell’Europa Occidentale. Raggiunsero in poco più di un’ora Fortaleza de Sagres, palcoscenico illuminato adeguatamente dal benevolo sole. L’Oceano, abitualmente agitato dal vento, si presentava piatto come una pennellata azzurra sulla tela di un dipinto.
I ragazzi non persero tempo ad esplorare quell’incredibile costone di terra che aveva probabilmente ispirato centinaia di artisti; sicuramente il poeta tra i più significativi di lingua portoghese, Fernando Pessoa.
Ammirarono intorno, E si sentiva come i pescatori sul ciglio del precipizio che intanto si notavano spuntare tra i faraglioni. Fissava l’infinito appoggiata ad un parapetto in legno distratta solo da qualche apparizione volutamente goffa del suo compagno P, allontanatosi nel frattempo e che in modo affettuoso le faceva sentire la sua presenza, concedendole però l’intimità cui stava cercando. Se un letto o un’opprimente stanza d’ospedale non sono certo stabili riferimenti per capire lo scopo del nostro cammino terreno, figuriamoci quell’enorme distesa blu, il volo libero di decine di specie d’uccelli, la minuscola scia lasciata da un peschereccio all’orizzonte, tanti puntini neri sulle loro minuscole tavole da surf dondolati dalla noiosa fluttuazione di un mare restio ad ergersi nuovamente a protagonista. Lei riprese a camminare confusa dalle immagini cui bellezza parevano torturarla all’idea che tutto sarebbe potuto finire. Troppo presto.
Finché non si fermò nuovamente davanti ad una targa che recita una poesia di Pessoa, Orizzonte
Mare anteriore a noi, le tue paure
corallo e spiagge e alberete.
Sbendate la notte e la caligine,
le tormente passate e il mistero
si apriva in fiore la Lontananza, e il Sud siderale
splendeva sulle navi dell’iniziazione.
Linea severa della riva remota –
quando la nave si approssima, s’alza la costa
in alberi ove la Lontananza nulla aveva;
più vicino, s’apre la terra in suoni e colori:
e, allo sbarco, ci sono uccelli, fiori,
ove era solo, di lontano, l’astratta linea.
Il sogno è vedere le forme invisibili
della distanza imprecisa, e, con sensibili
movimenti della speranza e della volontà,
cercare sulla linea fredda dell’ orizzonte
l’albero, la spiaggia, il fiore, l’uccello, la fonte –
i baci meritati della Verità.
Quella giornata terminò con il sole trasformato in una grossa palla di fuoco arancione che i due videro a Faro, città sulla via del ritorno verso Tavira.
Erano entrambi felici di quello che era accaduto e non si preoccuparono di dare spiegazioni, cercare motivi o di preoccuparsi di quello che gli aspettava.
A lei riuscì solo di dire grazie. Lui le appoggiò il braccio sulle spalle e la portò a sé mentre rimasero a fissare lo spegnersi del tramonto.
Quelli che si lamentano di più, sono quelli che soffrono meno. (Publio Cornelio Tacito)
Buongiorno, bellissimo articolo! Vi lascio il trailer del mio viaggio in Portogallo, se dovessere interessarvi, passate e dare un occhiata: https://www.youtube.com/watch?v=25cIxMcIZY0&t=52s
Grazie, me lo guardo subito