NYC Marathon: gioie o dolori?
Se il tuo sogno è partecipare alla Maratona di New York, o ad un’altra qualsiasi maratona, ma sei giovanissimo ed alle prime armi, continua a leggere. (Puoi leggere lo stesso anche se non lo sei…)
Nel novembre 2017 ho avuto la fortuna di collaborare con un t.o. specializzato in eventi podistici tra cui l’ambita Maratona di New York. Lavorando nel settore turistico ed essendo io stesso un maratoneta (seppur amatoriale) ho decisamente vissuto questa esperienza in modo entusiasmante, vuoi per l’eccezionale impatto che offre ai visitatori New York, vuoi per esser parte dell’organizzazione della maratona mediaticamente più importante al mondo, vuoi per aver condiviso bellissimi momenti con colleghi estremamente preparati e disponibili, vuoi per il contatto con diverse personalità dello sport come il vincitore della NYC Marathon 1984 e 1985 Orlando Pizzolato o di quelli dello spettacolo come Linus o Aldo Rock, per citarne alcuni. Aggiungo doverosamente anche e soprattutto il contatto con i tanti clienti e le loro storie, persone con le quali condivido la stessa passione.
Se personalmente ho avuto la magnifica occasione di partecipare da addetto ai lavori, c’è chi sogna questo evento ed è naturalmente disposto a pagare anche cifre importanti pur di realizzarlo. Soldi ben spesi, a mio avviso.
Dopo questi preamboli che enfatizzano la gara dell’anno, chiamiamola pure così, vorrei soffermarmi invece su un episodio che mi ha particolarmente colpito. Mentre attendevo il bus shuttle che dal Le Parker Meridien, hotel di lusso sulla 56th, avrebbe portato i nostri ospiti in aeroporto, vedo uscire dall’albergo una coppia di ragazzi giovanissimi. Lui normo deambulante, lei distrutta. In un primo momento rimango un po’ spiazzato perché è abbastanza raro, ma niente di anormale intendiamoci, che il ragazzo sia spettatore della propria fidanzata podista; di solito è la donna che accompagna. Considerazione statistica e non sessista. Fatto sta che riconosco quella camminata post maratona finita al limite, che significa avere la stessa elasticità di un trampoliere o di sentire due paletti di cemento al posto degli arti inferiori. A me era successo a Siviglia dove ho stampato il mio personal best (niente di eccezionale…) ma dove ho anche rischiato di non portarla a termine; e per la cronaca non ho camminato i tre giorni seguenti. Tornando a loro, come di consuetudine, intavolo un discorso per ingannare la breve attesa che ci separa dall’arrivo del pulmino e chiedo quindi cos’è successo.
Mi viene simpaticamente risposto che la ragazza voleva a tutti i costi realizzare il suo sogno di correre la Maratona di New York. Mi incuriosisco e dato che conosco le fatiche di una adeguata o perlomeno sufficiente preparazione necessaria a terminare una maratona, mi permetto quindi di addentrarmi un po’ di più nel personale della ragazzina che, come tutti i coetanei o almeno quelli con le faccine pulite come le loro, mi mettono sempre un po’ di tenerezza e nostalgia dei tempi andati. Vengo così a scoprire che la caparbia giovanissima ha compiuto un miracolo: ha corso una maratona allenandosi tre forse quattro volte a settimana con sedute da 10K alla volta e cioè con un chilometraggio totale settimanale di 30 – 40 K. Naturalmente mentre lo diceva ripeteva che non solo avrebbe mai più corso una maratona, ma non avrebbe mai più corso e basta! E vorrei vedere!
Allenarsi per così poco durante la settimana sarebbe a dire che, abituato a mangiare 1 hamburger al giorno per 3/4 volte a settimana d’un tratto hai 8 hamburger nel piatto da dover ingoiare anche abbastanza velocemente. Con ingredienti diversi dai quali sei abituato, per di più. (tradotto, percorso diverso) Chiaramente tutto si può fare ma con il rischio di non voler vedere mai più un hamburger in vita tua. Esempio un pò inadeguato ma, penso, abbastanza esaustivo.
A differenza della 10K o mezza maratona, che vanno adeguatamente preparate pure quelle, ma che malissimo che vada anche camminando si finiscono, terminare una maratona richiede un duro allenamento fisico e mentale. Una lunga preparazione suddivisa da sedute diversificate, quattro/cinque volte a settimana, che comprendono corse facili dai 14 ai 26K, ripetute, lunghi da 29 a 36K che prima di una gara devono essere almeno tre. I chilometri settimanali percorsi tra i 60 e gli 80, minimo.
E’ inutile allo scopo correre 6 volte alla settimana 10K per arrivare a 60K complessivi.
Non bisogna inoltre trascurare i tempi di recupero, perché altrimenti si rischia un sovraccarico che aumenterà lo stress fisico e mentale che aumenteranno il rischio infortunio. Intanto che si costruisce la giusta muscolatura per affrontare uno sforzo fisico molto impegnativo si deve tenere d’occhio l’alimentazione. Limitare al minimo alcool e pizze (meglio sarebbe eliminare del tutto) non ci trasforma in campioni ma aiuta sicuramente; oltre a decine di altre importanti accortezze che non sto ad elencare. Necessario sperimentare i materiali tecnici per evitare dolori ai piedi o arrossamenti ed insanguinamenti in varie parti del corpo nonché i vari integratori che ci daranno spinte fondamentali prima, durante e dopo il percorso. E’ importantissimo trovarsi pronti di testa: nei momenti di difficoltà, e ce ne sono, poter ripensare a tutti gli sforzi fatti per essere lì è essenziale e gratificante.
Qualcuno penserà che sto esagerando ma quello che scrivo riguarda noi amatoriali e principianti ed è all’acqua di rose; anche perché in tutto ciò non ho menzionato i tempi di allenamento o di gara.
E’ indispensabile procurarsi una tabella d’allenamento personalizzata da seguire.
Per i professionisti la musica cambia completamente. Nel loro universo i chilometri settimanali arrivano ad essere 200 e le sedute giornaliere sono doppie, mattina e pomeriggio, con l’aggiunta di esercizi alternativi in palestra, piscina o bicicletta. Ma qui entrerei in un mondo di cui non ho mai fatto e mai farò parte.
Morale della favola per appassionarsi di uno sport impegnativo come la corsa bisogna innanzi tutto essere consapevoli dei propri mezzi e dei propri limiti con l’obiettivo di poterli superare. La passione si coltiva con un duro lavoro e nel caso in cui diventi coinvolgente, visto che mi rivolgo in particolar modo ai giovanissimi, con l’aiuto di un professionista o l’iscrizione in qualche associazione sportiva dove poter essere seguiti da persone esperte, potrà sfociare in qualcosa di veramente serio e divertente. Senza mai trascurare le adeguate visite mediche specializzate che non eliminano del tutto i rischi ma sicuramente sono necessarie e rassicuranti.
Fatto questo prendere parte alla NYC Marathon sarà un sogno che vi donerà più gioie che dolori.
Con l’augurio di vedere sempre più ragazzi sorridenti, preparati ed orgogliosi d’aver partecipato ad una o più maratone.
La maratona è una sorta di credo permanente: basta aver corso volta soltanto per sentirsi maratoneti a vita. Un po’ come per la psicanalisi. Sì, la considero una forma di arte marziale, una disciplina interiore. Lo è intrinsecamente. Per gli allenamenti che richiede, per il modo in cui ti porta a percepire l’ambiente, per lo sforzo che esige dal tuo corpo. Il maratoneta è un samurai con le scarpette al posto della spada: è estremamente severo verso se stesso, non si perdona mai, è costantemente in lotta contro i propri limiti… Sbaglia chi pensa alla maratona come a una scelta sportiva, è una disciplina massimamente estetica. È proprio una visione del mondo: non sono solo quei quarantadue chilometri da correre nel minor tempo possibile, è l’idea di resistere, di andare oltre…
(Mauro Covacich)
Halong Bay Heritage Marathon. Correre in Vietnam.
L’Heritage Halong Bay Marathon è una manifestazione con pochi precedenti alle spalle e forse per questo offre il fascino della corsa dura e pura senza troppi fronzoli commerciali come avviene di consueto negli appuntamenti del Vecchio Continente, per non parlare degli Stati Uniti, regno incontrastato del marketing estremo. Al ritiro del bib si notano subito le differenze con New York, ad esempio, dove ad accoglierci non ci saranno centinaia di addetti, sicurezza e migliaia di gadget esposti negli stand dei grandi brand sportivi bensì quattro persone dietro ad un tavolo di un’enorme sala conferenze completamente fredda e spoglia.
La prima sfida è quella di assimilare il viaggio, piuttosto impegnativo, ed il fuso orario (+6) che dal punto di vista fisico non è troppo fastidioso.
Nell’immaginario di molti il Vietnam è un’apoteosi di verde, foreste, fiumi marroni, umidità ed insetti. Immagine che ci è stata inculcata in anni di film americani di guerra girati, tra l’altro, al di fuori del territorio vietnamita dove ancora oggi di queste pellicole propagandistiche ne è bandita la proiezione e la produzione. Incredibile pensare che i vietnamiti non hanno idea di chi sia Rambo, altro esempio.
Fatto sta che la Baia di Halong, almeno nel periodo in cui si corre la maratona, ossia in novembre, presenta un clima piuttosto favorevole alla corsa. Alle prime ore della mattina quando ci si presenta al via, la temperatura è addirittura gelida.
Non si scalda nemmeno al nastro di partenza, dove le poche presenze degli atleti, la scarsa affluenza di pubblico e le prime e poche luci dell’alba, rendono l’atmosfera dello start simile a quello delle ultra maratone o delle ultra trail piuttosto che alla 42K cui stiamo partecipando.
Ovviamente non ci sono wave colorate da seguire e poco male se si parte per ultimi come il sottoscritto dato che pensavo che il colpo di cannone (si fa per dire) sarebbe avvenuto mezz’ora dopo…
Sottointeso che sia necessaria una adeguata preparazione fisica per terminare decorosamente una maratona, nel caso specifico è indispensabile presentarsi all’appuntamento fisicamente e mentalmente al meglio solo per finirla (anche senza decorosamente) in quanto il percorso tecnicamente è piuttosto impegnativo. Le gambe vengono messe a dura prova nell’affrontare le due salite più ostiche (e di conseguenza le ripide discese) che ci fanno salire sul punto più alto del percorso che è lo spettacolare Bãi Cháy Bridge. Una all’andata, una al ritorno.
Mentre numerose energie vengono consumate in questo frangente, presto ci si ritroverà pressoché isolati a continuare il nostro percorso. Lì incomincia la parte più difficile dal punto di vista mentale; vuoi perché viene a mancare la componente più bella ed importante delle competizioni, ossia la spinta del pubblico che differenzia un giorno d’allenamento qualunque da quello della gara, vuoi per il mini stress nel cercare le indicazioni per il percorso giusto da seguire. Come non bastasse le strade non sono chiuse al traffico, pertanto la sensazione di correre come dei pazzi numerati tra le vie di Halong è piuttosto presente. I punti di ristoro sopperiscono alla grande alle necessità dei corridori.
Tra tratti di marciapiedi sgarrupati e cantieri aperti, aumenta la solidarietà tra i partecipanti che, arrivati al giro di boa della mezza, devono ripercorrere i loro passi incrociando così gli inseguitori. In totale mancanza di pubblico il farsi forza tra maratoneti diventa scambiarsi un cinque con i più forti o rispondendo al saluto di chi si incontra intorno al 25K (che sarebbe il loro 17mo) e che ti guardano come fossi un marziano.
Questo accade in manifestazioni poco frequentate perché i miei tempi sono ridicoli se paragonati anche a quelli di un buon amatoriale in gare più blasonate, senza scomodare i professionisti che li vedo con il binocolo.
Passo dopo passo ci si avvicina al fatidico arrivo dove nonostante gli aminoacidi gentilmente offerti da Aldo Rock in occasione della maratona di NY, ho accusato un crollo totale che mai mi era capitato prima. Al 40K la mia testa ha deciso che dovevo camminare. Questa sciagurata presa di posizione della mia coscienza che non sono riuscito a contrastare ha dimostrato quanto sia importante avere una persona amica o anche degli sconosciuti che ti incitano a spingere per qualche metro ancora. Ma di pubblico nemmeno l’ombra. Uniche pillole consolatrici l’assurdo doppiaggio dei partecipanti della mezza maratona, ma soprattutto quelli della 10K. Fortunatamente dopo qualche centinaio di metri ed essere stato superato da un giapponese che pensavo d’aver lasciato abbondantemente dietro, ho ripreso a correre e mettermi in scia del nipponico ma senza la necessaria forza per ripassarlo. Traguardo raggiunto ma decisamente spaccato.
Bella la medaglia che viene riconosciuta ai finalisti ed indispensabili i bicchieri di plastica contenenti i noodles al ragù. La fame era talmente insistente che ne ho finiti tre ricolmi utilizzando le bacchette (đũa) con le quali generalmente faccio fatica anche a tirare su pezzi di cibo più solidi e consistenti.
A proposito del cibo, fattore da non trascurare assolutamente e che nel mio caso è stato uno degli elementi più penalizzanti in assoluto: la sera prima della corsa evitate di cercare fortuna tra i locali di Halong ma optate per una cena presso un albergo che offra cucina internazionale. Poco importa se la qualità non sarà eccellente ma carboidrati, proteine, grassi e zuccheri in qualche modo vanno ingeriti. Personalmente ho corso una maratona con in corpo una zuppa di pollo della sera precedente ed una fetta di cheese cake per colazione la mattina stessa e giuro che al 30K mi sentivo la faccia consumare dalla fame.
Anche quest’ultima parte con gli anni diventerà un simpatico aneddoto da raccontare, ma sicuramente è un errore da non ripetere.
La Mezza Maratona di Bonn
La Deutsche Post Marathon di Bonn in Germania si svolge ad aprile e comprende sia la maratona di 42K che la mezza di cui ci occuperemo in questo caso.
La scelta di correre una mezza maratona in questa località è fondamentalmente scaturita da due fattori, uno dovuto alla curiosità ed uno economico. La curiosità nasce dal fatto di visitare due interessanti realtà teutoniche quali Bonn, Capitale della Germania Ovest prima della riunificazione ed un anno dopo la caduta del muro di Berlino (che avvenne nel 1989) e Colonia dove vi si è quasi costretti a transitare in quanto è lì che è situato l’aeroporto di riferimento.
La distanza tra le due città è davvero breve e con efficienti collegamenti che permettono di dedicare un giorno del week end per visitare l’interessante Colonia bagnata dal fiume Reno che nel suo lunghissimo tratto navigabile scorre fino ed anche a Bonn, creando così un collegamento fluviale tra i due centri tedeschi.
Economicamente, accennavo nelle premesse, c’è la possibilità di trovare prezzi dei voli ridottissimi con le solite compagnie low cost dato che, almeno in questa occasione, l’evento sportivo non ha contribuito ad alzare le tariffe. Prenotare un biglietto aereo nel week end in cui si svolge una maratona di prestigio spesso significa sborsare un ingente quantitativo di denaro in più rispetto alla media.
La mezza maratona di Bonn, così come la maratona, non è internazionale e per di più si svolge in contemporanea con quella di Berlino che, per ovvi motivi, è la più ambita.
Non essendo internazionale la navigazione del sito ufficiale e la conseguente iscrizione per chi non parla o legge tedesco diventa abbastanza complicata ma, con l’aiuto delle tecnologie moderne, nulla è impossibile.
Pettorale e gadget si ritirano vicino il luogo stabilito per la partenza che avviene nei pressi dell’Università di Bonn. Le gare meritano di essere corse solo per il gusto di poter ritirare la t-shirt omaggio che è una delle più brutte casacche mai viste in circolazione e per questo motivo diventa di primaria importanza riuscire ad impossessarsene ed indossarla almeno una volta nella vita.
Chiaramente modesto anche lo stand dedicato agli articoli per corridori che nelle manifestazioni internazionali siamo abituati a vivere come vere e proprie fiere.
Ciò premesso l’ambiente che si respira è quello di una competizione paesana e spensierata con non moltissimi partecipanti, circa 1000, anche se al nastro della partenza non mancano atleti professionisti di buon livello. Il rischio per un amatore con tempi appena decenti, come nel mio caso, è di ritrovarsi proprio nelle primissime file con atleti che al via partono a razzo costringendoti a fare altrettanto per non essere travolto. Personalmente è stata la prima volta che anziché cercare di guadagnare posizioni ho indietreggiato per evitare di partire in prima fila con i professionisti o presunti tali dalle velocità esorbitanti. Ciò nonostante ai primi metri avevo un ritmo di 4,18 che neanche a vent’anni avrei tenuto.
Il percorso, se si è fortunati nel viverlo in una giornata primaverile soleggiata, è davvero bello.
Usciti dal centro cittadino si attraversa immediatamente il ponte sul Reno Kennedybrücke e ci si trova a correre sulla sponda opposta di Bonn, a Beuel, tra quartieri signorili, ci si immerge in un polmone verde, si scende un pezzo di superstrada per poi risalirlo, si pratica la pedonale che costeggia il Reno per poi riattraversare il ponte che ci porterà nuovamente al centro di Bonn. Curiosi i punti di ristoro che, oltre ai soliti maledetti bicchieri di plastica d’acqua impossibili da bere in corsa, presentano la bevanda energetica per eccellenza in Germania: la sacra birra. Assurdo.
Fatto sta che i ritmi della gara sono davvero buoni per chi è in cerca del suo personale.
L’affluenza di pubblico è presso che nullo fino alla zona del Parco Hofgarten dell’Università a circa 3K dall’arrivo dove invece le strade sono stracolme di curiosi e sostenitori che indubbiamente spingono gli atleti a dare il massimo fino all’arrivo allestito a Piazza Markt.
Tagliato il traguardo e ritirata la medaglia, pure questa di scarso appeal estetico, ci si addentra nel paddock riservato agli atleti dove rifocillarsi con prodotti locali e litri di birra nei numerosi chioschi sponsorizzati che per molti dei partecipanti locali pare essere il vero scopo dell’iscrizione.
In conclusione Bonn con la sua mezza maratona diventerà un piacevole ricordo ed un’esperienza da non perdere. Consigliata.
In viaggio 9 mesi pagato (tanto). Vuoi?
Ti piacerebbe fare il blogger di professione viaggiando il mondo per 9 mesi profumatamente pagato?
Sei disposto «a testare i prodotti e le attrezzature nei posti più selvaggi del pianeta»? Sapresti documentare il tutto con racconti avvincenti e foto accattivanti? Proposta valida per due persone, 35.000 euro più benefit.
Difficile che il lettore continui a leggere la seconda riga di questi post senza essersi già scaraventato con lo sguardo alla ricerca di un modulo di iscrizione o indirizzo email dove mandare la propria candidatura.
Trattasi in realtà di una economica e funzionale trovata pubblicitaria che chiaramente attira su di sé migliaia di utenti a costo praticamente nullo, fosse anche vero che alla fine qualcuno sarà pagato per fare quanto sopra descritto. L’azienda che propone questa formula produce abbigliamento sportswear , è americana ed ha lanciato la sfida sul proprio territorio. Le date delle audizioni dove presentare la candidatura prevedono al momento solo Stati a stelle e strisce; date e luoghi da intercettare seguendo il profilo Instagram della stessa azienda con l’obbligo naturalmente di diventare follower. Mentre scrivo né conta 121K.
La prima clamorosa trovata del genere va attribuita all’Ente del Turismo Australiano che nel 2009 annunciava di voler assumere un addetto/a per praticare mansioni che variavano dal monitorare le rotte delle balene, al rifornire di cibo le tartarughe, nonché attendere il servizio postale; il tutto per 75.000 usd in sei mesi di lavoro con tanto di villa e confort a disposizione. Naturalmente le candidature furono milioni da tutto il mondo e l’Ente Turismo fu sommerso da cv e video di ogni genere e tipo, facendo rimbalzare la notizia in qualsiasi angolo del mondo, riuscendo così nell’intento dichiarato di promuovere il reef. Al di sopra di ogni aspettativa a dirla tutta.
Se in questi casi la pubblicità è mirata ad alimentare i sogni di ognuno di noi senza necessariamente provocare grosse delusioni perché è evidente che per la legge dei grandi numeri le probabilità di essere coinvolto in questi progetti sono nulle, più fastidiosi sono i moltissimi annunci apparentemente abbordabili dove i lavori proposti non sono certo esotici o irraggiungibili. Attenzione, perché ad oggi i dati personali contano quanto e forse più del denaro e per un’azienda di ricerca avere a disposizione migliaia di cv settoriali significa intascare parecchi soldini. Naturalmente tutto questo sarebbe vietato dalla legge ma tenuto conto che spesso non arrestano delinquenti per reati ben più invasivi e fisici, figuriamoci chi si mette a perseguire realtà virtuali e fittizie.
Così come molti blog e siti italiani hanno furbescamente utilizzato il titolo “In viaggio per 9 mesi pagati 35mila euro: ci state?” evidentemente con il solo scopo di attirare lettori, cambiando la valuta originale, dollari, in euro e tralasciando qualsiasi tipo di vera informazione a riguardo, ossia che si tratta di uno spot commerciale focalizzato al mercato americano.
Uno specchietto per le allodole, come ce ne sono tante in rete, travestite da notizie curiose, che fanno aumentare le visite ed i click sui banner pubblicitari ed incidono negativamente sul senso della realtà nelle persone. Ma ormai, pare che l’etica del giornalista sia rara quanto i prescelti delle campagne pubblicitarie.
Non stai pagando per questo prodotto, perché il prodotto sei tu.






















