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Hanoi. The guide

Il gruppo di anziani attendeva impaziente di essere imbarcato sul volo che nel giro di qualche ora gli avrebbe trasportati fino l’altra parte del mondo. In Vietnam. Gli acciacchi fisici derivanti dalla terza età non avevano impedito a nessuno di farsi trovare pronto nell’affrontare un viaggio piuttosto impegnativo. In aeroporto ogni partenza era caratterizzata da un brontolio generale riguardante la mancanza di posti a sedere, la scomodità della seduta, i prezzi elevati dei bar ed ovviamente il disordine delle file al momento dell’imbarco. Di inframezzo la lista delle malattie affrontate o da affrontare. Come se lo scambio delle figurine che praticavano da bambini avesse ripreso moda anche nella vecchiaia. Le raffigurazioni dei calciatori erano state però sostituite con quelle delle artrosi, cervicali, diabeti e patologie tiroidali. La capogruppo, un’energica piccoletta un pò più giovane rispetto agli altri, si prodigava nel mantenere il gruppo unito, cercando di assecondare il più possibile ogni loro esigenza. Chi doveva andare urgentemente in bagno, chi voleva acquistare le parole crociate, chi gironzolava a vuoto per sgranchirsi le gambe. Gli uomini si intrattenevano per lo più discutendo di politica spiccia. Le donne intervenivano energicamente quando si trattava di elencare i disservizi presenti nel Belpaese. Dalle affermazioni convinte si evinceva che la causa attuale di tutti i mali, o quasi, erano gli extracomunitari. Gente pericolosa che, quando non dedita alla macchia, rubava posti di lavoro e case agli italiani. Tra loro c’era anche chi sosteneva che questa tesi era una sciocchezza, ma veniva ben presto tacciato da coloriti esempi di furti, rapine, violenze e qualsiasi altra ingiustizia quotidiana commessa dai forestieri. Man mano che l’orario di apertura del gate si avvicinava, la sala si popolava di passeggeri in attesa. L’aumentare del vociare e la presenza sempre più ingombrante delle persone fece distogliere ad un ragazzo lo sguardo dal monitor del portatile che stava maneggiando e che rifletteva il suo viso dai tratti orientali. Smise di armeggiare la tastiera, si levò delle corpose cuffie dalle orecchie e si rivolse ad una signora del gruppo per invitarla a sedere al posto suo. La gentilezza non fu ricompensata. La donna si impossessò del posto senza ringraziare. “Era ora” si limitò a bofonchiare.

In attesa del loro arrivo ad Hanoi la guida vietnamita aveva ingannato il tempo chiacchierando con l’autista del pullman che stava anche sostenendo il cartello con stampato il nome del gruppo. Era una ragazza minuta con poca esperienza alle spalle e fresca di laurea ma ciò nonostante non tradiva alcuna insicurezza. Alle uscite si era creata parecchia confusione vista la presenza di professionisti del settore e parenti o amici in attesa dei loro cari. Questo non aveva impedito alla guida di individuare subito il gruppo. Le voci di varie nazionalità si accavallavano tra loro creando un trambusto infernale. A queste si aggiunse il rumore delle rotelle delle valigie strascinate dai visitatori ed i nomi urlati per non disperdersi. L’umidità completava il disagio. Quasi tutto il gruppo si lamentava delle condizioni poco confortevoli in cui erano costretti a sottostare, mentre la tour leader tardava ad arrivare. Più di qualcuno fece subito notare alla guida vietnamita che in Italia certe cose non sarebbero mai potute accadere. Finalmente arrivati al bus e caricate le valigie a bordo presero posto defaticandosi e rinfrescandosi con l’aria condizionata erogata dalle bocchette.

La guida estrasse quindi il microfono, si accertò che funzionasse, poi con la sua voce delicata e con un accento marcatamente orientale si presentò dando il benvenuto ai nuovi ospiti. Il chiacchiericcio sul fondo riguardante la scomodità dei sedili impedì a più di qualcuno di capire cosa stesse dicendo. Si augurarono che il resto delle spiegazioni fosse più chiaro rispetto a quello trascorso. La capogruppo si preoccupò di chiedere se all’arrivo in hotel fosse stato adibito un buffet dato che erano piuttosto stanchi ed affamati. Ulteriore timore per niente velato fu quello di accertarsi che l’eventuale cibo fosse commestibile. Impensabile per un italiano cibarsi di solo riso, appuntò. La guida dovette necessariamente interrompere le prime spiegazioni quando notò che tutti erano inevitabilmente distratti dal caotico traffico di Hanoi. Non si fecero certo attendere i commenti sull’inadeguatezza di alcuni mezzi circolanti e la promiscuità del codice stradale. Qualcuno volle specificare che in Italia cose così sarebbero impensabili. Anche al sud.

Il tragitto da percorrere per raggiungere l’hotel era particolarmente breve ma la densità del traffico allungava i tempi. La guida ne approfittò per riepilogare il programma che avrebbero affrontato nei tre giorni di presenza ad Hanoi, prima del loro trasferimento all’interno del Paese dove sarebbero stati accolti da un’altra guida. Illustrò quindi la passeggiata serale che avrebbero fatto attorno al West Lake, il lago della leggenda della spada restituita, con la visione illuminata del ponte rosso Hoan Kiem. Struttura che avrebbero attraversato anche il giorno seguente e che li avrebbe portati all’interno del tempio Ngoc Son. Complici la fame, la stanchezza e la pronuncia non proprio perfetta della guida la maggior parte sembrava assopita nei propri pensieri e poco attenta al discorso. Si risvegliarono tutti immediatamente quando qualcuno con voce decisa chiese alla guida se c’era il segnale per il wifi. La spiegazione riguardo questa problematica si svolse durante la sosta ad un semaforo rosso a pochi metri dal Tempio della Letteratura dedicato a Confucio. Intenti a smanettare i propri smartphone come adolescenti all’uscita di scuola, nessuno fece caso ad un gruppo di studenti neo laureati che stava festeggiando la fine dell’attività scolastica sfoggiando sorrisi e gioia per il riconoscimento conseguito.

La guida riprese a fatica, ma sempre con il sorriso sulle labbra, a raccontare dello spettacolo delle marionette che si svolge al Thang Long Water Puppet Theatre. Prima dello spettacolo avrebbe fatto assaggiare loro il famoso caffé all’uovo di Hanoi portandoli tutti in una tipica caffetteria locale. Subito i signori chiesero spiegazioni riguardo questa variazione che andava a sfidare il caffé espresso, orgoglio italiano. Di similitudini, a parte la materia prima, non ce n’erano. Qualcuno si informò se, a parte l’assaggio folcloristico di questo caffé all’uovo, ci fosse la possibilità di bere un buon caffé espresso anche in Vietnam. Altri ci scherzarono sopra, ma non troppo, riguardo la possibilità di correggerlo con la grappa.

Finalmente si cominciò a percepire un pò di buon umore che lasciò spazio alla preoccupazione durante l’attraversamento del quartiere vecchio e le numerose bancarelle ai cigli della strada allestite per l’assaggio di cibo di ogni genere. In questo caso tutti sollevarono perplessità riguardanti le condizioni igieniche vista l’esposizione diretta degli alimenti agli eventi atmosferici e l’inquinamento dei mezzi transitanti a breve distanza. In Italia li avrebbero messi al bando in men che non si dica.

Erano quasi giunti in hotel quando una signora affermò che si aspettava tutt’altro dal Vietnam. In mente aveva sconfinate terrazze di risaie arrampicate su verdi e rigogliose colline. Cose che avrebbero visto a Sapa, qualche giorno dopo.

La guida consapevole della loro stanchezza trovò inefficace continuare a parlare di Hanoi. Rinunciò così a descrivere la fotografia che avrebbe fatto scattare loro a Khâm Thiên, dove il treno passa a pochi centimetri delle case.

Ringraziò il gruppo ricordando che a breve sarebbero giunti a destinazione, quindi ripose il microfono nel suo alloggio e si sedette nel posto a lei riservato. Sospirò e scambiò incomprensibili parole con l’autista che intanto stava attraversando il lungo ponte di Long Bien, orgoglio vietnamita.

Fece qualche minuto di silenzio prima di venir bussata sulla spalla da una passeggera seduta dietro: “Mi scusi se la disturbo” la guida si girò verso di lei sorridente “ma anche qui da voi siete pieni di extracomunitari?”

L’ignorante è nemico di se stesso

La guida raccontava con passione al centro della piazza il significato di foro ovale e cardo massimo. In quello stesso  punto lo circondavano prestandogli il meritato interesse un gruppo di turisti, di cui io stesso facevo parte.  Accompagnava le sue parole con ampi gesti che indirizzavano gli sguardi alle meraviglie circostanti. Le persone erano serie ed incantate nel guardarsi intorno; muovevano il capo all’unisono nel individuare gli aspetti che venivano di volta in volta indicati dall’esperto cicerone.

Le uniche teste che non si spostavano nella direzione di quelle del gruppo erano la mia e quella di un maniaco del telefono ossessionato dalla carenza di segnale.

Nonostante il sito archeologico di Jerash sia incredibilmente affascinante e ben conservato, ero distratto dalla presenza di una ragazza che già avevo notato nei giorni precedenti e che mai ebbi occasione di conoscere. Capelli scuri raccolti, occhiali scuri, espressione imbronciata, snelle linee del corpo definite da un piumino ed un paio di jeans stretti neri.

Un primo contatto mi fu impedito dalla presenza dei genitori che risultava abbastanza anomala visto che la figlia pareva aver superato l’adolescenza da un bel po’. Pensai che al mondo esistono famiglie molto unite. Forse esageratamente unite. Il mio pensiero però non si focalizzò a stabilire quale modello di famiglia risultasse più anormale perché preferivo concentrarmi sulle movenze della ragazza e sul paesaggio edilizio circostante. Mi entusiasmavano entrambe le cose.

Le prime parole gliele rivolsi al Tempio di Giove dove si era fatta scattare alcune foto dal padre. Fu quest’ultimo a chiedermi la cortesia di immortalare la loro famiglia. Prima di passarmi la macchina dedicò alcuni secondi al rito di spiegazione d’utilizzo, come se non ne avessi mai usata una. Non mi piacque il suo approccio altezzoso ma l’interesse per sua figlia non era diminuito, anzi. L’immagine della famiglia ricca, felice e spensierata in posa, appoggiata ad una delle grandi colonne del tempio con lo sfondo del foro ovale, sarebbe probabilmente finita tra le altre decine di foto di viaggio dalle lucide cornici d’argento esposte nel loro enorme soggiorno. La figlia si soffermò un po’ più a lungo dei suoi genitori al tempio ed io ne approfittai per rivolgerle le prime parole. L’unico sorriso che le vidi fare fu durante lo scatto della foto. Un sorriso superficiale. Poi,  anche noi ci incamminammo in direzione delle Chiese di Pietro e Paolo. La zona circostante, oltre ad ospitare i maestosi resti della città romana, offriva un paesaggio verde e fertile; passeggiare tra quelle rovine faceva pulsare il mio corpo, scosso dai fantasmi degli abitanti dell’epoca. Camminare vicino a lei mi faceva sentire un fanciullo con indosso una tunica bianca e dei semplici sandali alla corte della musa del villaggio che non distoglie lo sguardo dall’orizzonte per non rivelare alcun sentimento.

Parlando con lei del più e del meno ebbi conferma che la mia idea iniziale riguardo la sua famiglia era esatta.

Quando raggiungemmo gli altri la guida aveva cominciato da qualche minuto ad illustrare l’architettura delle due chiese. Qualcuno del gruppo cominciava a perdere l’attenzione ed esaurito lo stupore iniziale ci furono i primi commenti, a mio avviso, idioti. La prima considerazione riguardava il fatto che non ci fossero abbastanza indicazioni per segnalare i pericoli o balaustre a delimitare zone sconnesse, cosa che in Italia sicuramente non sarebbero mancate.  Non proferì parola ma il mio volto probabilmente non riuscì a nascondere un espressione piuttosto contrariata visto che la mia nuova amichetta se ne uscì dal nulla sostenendo che, in fin dei conti, avevano ragione a pensarla così. La mia idea invece era che gli italiani fossero abituati ad uno Stato esageratamente assistenzialista e che non fossero vergognosamente in grado di fare mezzo passo da soli senza qualcuno che indichi loro un gradino da salire o una buca da evitare. La mia frase risultò un granello di zucchero finito in un ingranaggio già di suo poco oliato o almeno così pensai. In realtà alimentai una discussione che avrebbe preso pieghe ben più ampie con il proseguo della visita che nel frattempo ci aveva portato alla cavea del teatro meridionale che con la sua bellezza aveva offuscato l’episodio precedente. Io e lei ci trovammo fianco a fianco ad arrampicarci sulle ripide gradinate. Non so se per fortuna o meno, il mio cervello elabora gli antichi e consumati oggetti in fantasiosi restauri dinamici. Immaginavo il teatro strabordante in attesa di qualche evento, con le persone sedute sulle loro poltroncine scolpite nella pietra. Il gruppo si era disunito alla ricerca del punto di vista migliore dove scattare delle foto o per riposarsi. Caratteristica fondamentale e geniale degli antichi teatri è sempre stata la perfetta resa del suono. La prima fila e l’ultima, senza alcun espediente elettronico, avevano la stessa percettibilità d’ascolto. Riuscì a goderne l’effetto dapprima ascoltando la piccola orchestra che si stava esibendo in nostro onore e poi nell’intercettare un dialogo tra i genitori di lei ed alcuni anziani signori seduti nelle prime file, probabilmente ignari che le loro idiozie potessero ampliarsi alle orecchie di tutti. La scintilla fu una battuta sugli orchestranti che poi diventò materiale fertile per dibattere sull’invasione degli extra comunitari in Italia. I signori che stavano affrontando il discorso provenivano dal nord est, zone particolarmente inclini ad indipendenze ed autonomie. In quel frangente non fu la mia espressione a tradirmi ma un commento vero e proprio che, per evitare posizioni dirette poco diplomatiche nei confronti del padre di lei, si limitò ad un non sono d’accordo.

E’ vero, esiste un problema, ma l’atteggiamento superficiale e superiore che hanno certe persone nell’affrontarlo è irritante. Dissi.

La ragazza dal canto suo non poteva certo discostarsi dagli insegnamenti familiari ed incominciò ad elencarmi tutti i disagi che lei e la sua famiglia stavano sopportando a causa dell’incessante occupazione di profughi e migranti. L’aumento della microcriminalità, il degrado, la disoccupazione e tutto il resto cui la televisione ci informa quotidianamente. La discussione giunse  fino al Tetrapylon meridionale dove la guida ci lasciò un po’ di spazio per continuare a parlarne.

Sostenere la tesi ognuno a casa sua all’interno di una città romana distante 3.914Km da Roma, che raggiunse il suo apice proprio nell’epoca in cui fu dichiarata colonia, era di una imbecillità apocalittica. Essere momentaneamente disturbati dallo sbarco di centinaia di persone provenienti  dai territori africani ed asiatici dopo che nei secoli l’Europa ha colonizzato, convertito, schiavizzato e saccheggiato le loro risorse è condizione da limitati mentali.

Pensare che la propria libertà ed autonomia debba essere sdoganata a suon di bombe intelligenti lanciate da un Paese che nasce grazie all’insediamento di galeotti, schiavi neri d’Africa e sulle ceneri del genocidio dei nativi americani è semplicemente da ignoranti. Recita un proverbio arabo: l’ignorante è nemico di se stesso.

Superati i bagni alimentati da un astuto sistema ingegneristico come tradizione romana vuole, la guida si soffermò vicino ad una colonna presente al Ninfeo.  Sapientemente fece notare al gruppo, finalmente riunito ed attento alla spiegazione, di come all’epoca fossero attenti agli eventi sismici. Così inserì una penna in una fessura presente alla base della colonna e con un appena accennato movimento creò il dondolio a dimostrarne la plasticità delle opere, studiate proprio per contrastare i terremoti.

Prima di giungere all’arco di Adriano calpestammo la sabbia dell’ippodromo, dove immaginai le furiose sfide tra i nitriti dei cavalli e le urla dei condottieri, acuti tra l’ovattato boato della folla.

L’Antico Romano Impero, la Magna Grecia, l’Egitto… L’eredità dell’inestimabile grandezza culturale di questi popoli è giunta ai giorni nostri completamente sbriciolata. Tritata. Inesistente.

Essa sopravvive nella frustrazione di chi ogni giorno combatte contro l’inciviltà e l’ignoranza.

Inutilmente. Pensai mentre il pullman lasciava dietro a noi Jerash.

 

La ragazza? Il giorno seguente c’è stato un’ulteriore diverbio sulla comodità dei materassi italiani rispetto a quelli giordani. Ma stavolta le ho dato ragione.

Vi è molto di folle nella vostra cosiddetta civiltà.
Come pazzi voi uomini bianchi correte dietro al denaro, fino a che ne avete così tanto, che non potete vivere potete vivere abbastanza a lungo per spenderlo.
Voi saccheggiate i boschi e la terra, sprecate i combustibili naturali.
Come se dopo di voi non venisse più alcuna generazione, che ha altrettanto bisogno di tutto questo.
Voi parlate sempre di un mondo migliore mentre costruite bombe sempre più potenti per distruggere quel mondo che ora avete.

Tatanga Mani, capo indiano della tribù degli Sioux Oglala, conosciuto come Toro Seduto

Un anno di più

E’ stato un 2016 con la valigia in mano.

Un anno in cui Controviaggio si è guadagnato un’impennata di visite che hanno surclassato quelle degli anni precedenti.

stat

gennaio2016Tutto parte da Gorizia, le origini. Qualcuno dice che le radici sono importanti, nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove. Un maggiore interesse da parte del resto d’Italia  agli avvenimenti storici avvenuti nel piccolo e schiacciato capoluogo friulano renderebbero più facile le letture di confini, valute e diversità etniche. febbraio16Nel periodo natalizio la tappa nella minacciata Bruxelles. La bellissima città fiamminga, continuamente esposta suo malgrado al giudizio politico e morale dalla gente, ha svelato un’identità artistica eccezionale. Nella capitale belga si evidenzia la continuità di stile tra la sofisticatezza barocca e gotica e l’essenzialità più attuale. Il grigio preponderante degli spazi spesso viene scombinato da murales colorati raffiguranti personaggi di fumetti. Da una città grigia politicamente e geograficamente al centro d’Europa, ad un’altra. Grigia s’intende. Circondata da enormi spazi verdi dove si pratica la coltura del riso fa bella mostra di sé Pavia che, come tutte le città italiane, ha molto da raccontare. marzo16Il capoluogo lombardo si dondola sull’altalena che oscilla tra i vantaggi della vicinanza con la metropoli Milano e le zone d’ombra derivanti dalla stessa. aprile16La tappa a Barcellona è stata di tutt’altro taglio rispetto le visite precedenti. Città molto ben organizzata, pulsante e gioiosa, decorata con estrema creatività e fantasia, figlia del genio visionario Gaudì. La prima mezza maratona corsa in un ambiente partecipativo con gli spagnoli sempre preparati nel cogliere la festa in ogni evento.

maggio 16Dalla Spagna al Portogallo la distanza è breve. Porto è cosa non ti aspetti. E’ aprire la porta di un locale affollato, muoversi tra la gente, ammirare e salutare le persone più in vista, congedarsi per un drink ed essere folgorato dallo sguardo penetrante di una persona in penombra. Con tutte le sinuose forme, semi nascosta ed emergente di luce propria. La voce calda, rassicurante. Sorride e ti mette a tuo agio.

giugno16E’ stato poi il turno del martoriato Egitto e quella che potrebbe essere, o forse a modo suo lo è, la splendida Cairo. Schiacciata da interessi internazionali che costringono migliaia di persone alla povertà ed ignoranza nel nome di equilibri che dovrebbero favorire le stesse persone occidentali che ripudiano i conseguenti flussi migratori causati dai loro malgoverni. Un luogo che ad oggi ha l’aspetto di un fazzoletto gettato a terra dopo l’uso. Similitudini con Varsavia ci sono, con la differenluglio16za che la città polacca sta lasciando dietro a sé il proprio passato di tirannie ed invasori spalancando le porte al libero mercato. Con la propria moneta il costo vita e lavoro in Polonia è notevolmente ridotto rispetto agli altri Stati membri, così da diventare meta ideale per aziende che vogliono abbattere spese. Una Disneyland del capitalismo. Seconda mezza maratona corsa in un ambiente diverso rispetto a Barcellona come era ovvio aspettarselo. I polacchi non hanno un senso dell’humor particolarmente sviluppato e le iniziative che propongono assumono un’aurea piuttosto infantile e scolastica.

agosto16L’estate si tinge d’azzurro del mare e del cielo di Tilos. L’isola greca non è raggiunta da orde di turisti, anzi pare un luogo poco frequentato. E’ stata forse la destinazione che ha fatto da pagliericcio alla scintilla scoccata nel raccontare Bruges il mese seguente. Immaginare ed illustrare artisti e scrittori intenti a sviluppare le loro opere lambiti da soffi di vento caldo e distratti dal rumore delle onde più fragorose nella culla degli Dei, ha inconsciamente suggerito un nuovo modo di raccontare i luoghi.settembre16

I luoghi sono persone. Vite quotidiane. Storie da raccontare.

La fiabesca Bruges è stata la scenografia perfetta di una bella ed interminata storia d’amore. Forse mai iniziata.

ottobre16Dopo una confessione d’amore non poteva mancare una dichiarazione d’odio. Gerusalemme è stato il luogo protagonista e contenitore dove vomitare ogni pensiero riguardante la condizione attuale degli ebrei di Israele. Arroganti e supponenti, hanno creato un muro reale per proteggersi dalle loro stesse azioni di guerra ed un muro ideologico per rifiutare ogni ammonimento dalla società pensante. Fino a quando il mondo intero dovrà pagare il retaggio storico della shoah da loro indiscutibilmente subito?

Infine l’anno si conclude con il Tour del Portogallo e la prima maratona corsa a Porto. Non poteva essere diversamente.novembre16b

La frenesia di una Lisbona attraversata dal tram 28 e soffocata dal traffico nei sali e scendi dei quartieri storici, l’infinito orizzonte del mare di Fortaleza di Sagres, il tramonto a Faro e la città grigia di Piodão. Le fortezze e palazzi colorati di Sintra.

 

Questo è stato il 2016

 

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle; e passano accanto a se stessi senza meravigliarsi.
(Sant’Agostino)

 

Bruxelles: L’avenir s’habille médiévale

dNon è ben chiaro se la corona che sta portando la reginetta d’Europa Bruxelles sia effettivamente costituita d’oro e diamanti piuttosto che di spine, fatto sta che la città fiamminga non concede alcuna pausa artistica all’ospite che durante le visite assiste ad un interminabile flusso d’immagini che spaziano dal gotico al neo barocco fino all’art nouveau solo per citare alcuni degli stili che più la identificano.e

La sensazione che trasmette Bruxelles durante gli spostamenti tra le vie e le piazze del centro è di muoversi tra installazioni artistiche di un museo all’aperto che ci accompagnano passo dopo passo. A differenza della maggior parte delle capitali europee meridionali, è raro trovare appeso ai negozi o ai palazzi il cartello vendesi/affittasi simbolo della crisi economica che identifica le fallimentari politiche che si sviluppano proprio tra gli alti, anonimi e freddi palazzi del Parlamento Europeo ospitato nella capitale belga. Essere al centro dell’attenzione aiuta per molti versi, caratteristica che se accumunata all’alto senso civico presente nei popoli nordici, rivela il persistente successo delle attività commerciali che non sembrano soffrire della spietata concorrenza proveniente dal mercato globale e dalla grande distribuzione. Tra gli scaffali delle botteghe i curiosi avventori riscoprono il piacere dell’acquisto originale e sfizioso a discapito, per una volta, della compera on line concentrata sul risparmio senza convenevoli. gLa cioccolata belga è la protagonista incontrastata ed il suo lustro e qualità fan sì che faccia bella mostra di sé in splendenti vetrine curate alla pari di prestigiose gioiellerie. Anche quest’ultime non mancano, così come locali adibiti alla vendita di incantevoli mobili antichi e d’importazione accompagnati da tappeti mediorientali che non si possono non associare ad ambienti d’alto borgo. Gli orologi di lusso usati esposti in un’orologeria vicino alla Chiesa Notre Dame du Sablon, stesso luogo dove avviene il mercatino dell’usato, fan pensare ad oggetti dismessi dai politici, che nel frattempo scorazzano avanti indietro per la città con le loro ammiraglie seguiti da imponenti scorte cui le sirene spiegate spezzano il normale ritmo quotidiano in cui le persone passeggiano o praticano jogging nei vari parchi esistenti e dall’inequivocabile aspetto regale.

tinNel mix di arti moderne ed antiche non possono sfuggire all’occhio e non piacere i murales dal tratto fumettistico che spesso compaiono sulle facciate dei palazzi. Dalla matita dell’artista belga Hergé prende vita TinTin che in compagnia del fido cagnolino Milou diventa il grande protagonista di piacevoli raffigurazioni in forma di murales, apprezzabili anche nel museo del fumetto e nei numerosi negozi specializzati che assieme alla cioccolata ed alla birra caratterizzano inconfondibilmente Bruxelles. Sembrerà d’esser presi per mano da questo personaggio frutto della fantasia anche durante le visite alle numerose Chiese e Cattedrali, spesso d’impronta gotica, che ergono al cielo sofisticate guglie ed importanti campanili e che alla penombra del loro interno celano opemennekenbisre architettoniche, scultoree e pittoriche di ragguardevole interesse. Difficile però rimanere concentrati su qualcosa di particolare perché, ripeto, il vorticoso flusso d’arte composto non solo da opere importanti ma anche da arti cosiddette applicate, è incessante. Tempo di uscire dalla solenne Notre Dame da la Chapel che già il nostro sguardo viene catturato dalla movimentata facciata di un negozio specializzato in insegne e decorazioni commerciali degno di un film, o fumetto per stare in tema. In tutta questa frenesia artistica diventa così ebmblematico il murales presente in una delle vie laterali che conducono alla piccola statuetta in bronzo Manneken pis e che appunto ripropone il bimbo statuetta simbolo intento a far pipì dipinto e rivisto in chiave moderna. Tutto questo è l’entusiasmante contorno, se così possiamo chiamarlo, del cuore della metropoli fiamminga che si identifica nella maestosa Grand Place, piazza che a pieno diritto è considerata dal 1998 patrimonio dell’umanità dell’Unesco ed al quale era inevitabile non dedicare la copertina. Uno dei luoghi più suggestivi al mondo che giustifica da sola la visita della città. L’armonia profusa tra lo stupefacente Hotel de Ville (Municipio), la Maison du Roi e le varie corporazioni è infatti assolutamente indescrivibile, ulteriormente valorizzate da decine di attività ospitate in lussuosi ambienti dai multiformi decori dorati che si affacciano alla Piazza.

fBruxelles pur esibendo con meritata fierezza il carattere medievale non rinuncia ad accogliere il futuro riscontrabile nella quotidianità dei suoi abitanti, dei turisti e dalla simbologia ereditata da Expo ‘58, in particolar modo nel multi sferico e riflettente Atomium posizionato in una parte periferica della città, quasi a voler prendere le dovute e rispettose distanze dalle imponenti e maestose opere collocate nel cuore cittadino.