Atlanta: la resa dei conti

Atlanta è una città visibilmente stanca, avvolta da un opacizzato smalto fine anni 90.
L’affascinante strascico delle Olimpiadi del 1996 è presente quasi ovunque, in particolare a South Downtown nel Centennial Olympic Park. I ragazzini si arrampicano sui cinque cerchi colorati eretti all’ingresso del parco. Nella vasta area verde sorge anche il museo del simbolo commerciale americano più invasivo e potente al mondo, la Coca Cola. La bevanda creata dal farmacista John Stith Pemberton nel 1886 è l’esempio lampante di come la sete di consumismo stia pericolosamente guidando il mondo verso il baratro. Il marketing della bevanda color marrone è vincente perché maledettamente semplice: il prodotto è alla portata di tutti e piace a tutti, dal Presidente degli USA al senza tetto. Ognuno di noi può avere un dollaro in tasca per acquistarla, moltiplicato per i 7 miliardi di abitanti che popolano il mondo i conti sono presto fatti.
Atlanta è la capitale dello Stato della Georgia che nel 1929 vide nascere il Reverendo Protestante ed attivista politico pacifista Martin Luther King al quale fu assegnato nel 1964 il Nobel per la Pace. Nella città è stato costruito il Martin Luther King Jr. National Historic Site in sua memoria ed anche una via principale porta il suo nome. Il Reverendo King cominciò il suo cammino di lotta pacifica contro l’ingiustizia civile in una piccola chiesa a Montgomery, cittadina dell’Alabama non troppo distante da Atlanta e resasi nota per episodi di impegno civile quali il boicottaggio dei mezzi pubblici in seguito al rifiuto della coraggiosa Rosa Parks di rinunciare al suo posto sul bus riservato ai bianchi ed il Bloody Sunday, la celebre marcia da Selma a Montgomery. Nella cittadina sorgono il National Memorial for Peace and Justice ed il Civil Rights Memorial luoghi dove sono conservate le memorie del lungo periodo in cui la parte di popolazione più forte ha approfittato dei più deboli con reiterate e consapevoli ingiustizie e soprusi. Fatti di cronaca che ancora oggi penalizzano la libertà e giustizia di alcune etnie.
Sarebbe impossibile riassumere in poche righe ciò che centinaia di pubblicazioni autonome stanno cercando di far emergere senza essere disinnescate dai tentacoli della censura occidentale, ma la situazione che si è creata è evidente a tutti. Tutto ha inizio con il colonialismo spagnolo, portoghese, quello inglese e le conquiste di nuovi territori perpetrati da ciechi soldati di Dio, presuntuosi della loro evoluzione in ambito di medicina e scienza, spesso trainata da esigenze belliche. L’imprinting del conquistadores è ancora oggi caratteristica europea, la stessa che ha di fatto sterminato l’intero popolo di nativi americani che oltre ad essere stati usurpati di terre e diritti sono stati umiliati per anni dalla rivisitazione storica hollywoodiana specialista in indottrinamento delle masse occidentali.
In tutti i film, poche le eccezioni, tutti i nemici di zio Sam sono dipinti come spietati e crudeli assassini, malvagi terroristi privi di scrupolo ed immorali, contrapposti all’esercito dei buoni e comprensivi americani intenti a distribuire cioccolate e chewing gum alle mani tese delle popolazioni liberate. Siano questi soldati, cowboy, pugili o combattenti di qualsiasi tipo sono caratterizzati da un’infinita umanità, solidarietà, calma e sicurezza anche quando scaricano interi caricatori addosso al truce nemico.
Quanti telefilm polizieschi indottrinano intere generazioni che un uso lecito delle armi porta benefici alla comunità? I videogame sparatutto non hanno la stessa funzione? Chi non è dalla nostra parte va eliminato per il bene comune. Le campagne mediatiche di questo tipo sono una prassi che utilizza sistematicamente anche Israele per dimostrare al mondo di essere nella parte del giusto mentre giornalmente compie atroci ed efferati delitti contro la Palestina che sta, passo dopo passo, sgretolandosi con il tacito consenso del mondo occidentale. Ma perché l’ingiustizia trionfa senza che nessun Paese così detto democratico di fatto prenda una ferma e decisa posizione in tal senso? Perché a muovere i fili delle marionette del teatrino del mondo ideale ci sono gli interessi economici.
Il razzismo fondamentalmente riguarda i poveri. Il terrore dei privilegiati che i ruoli si possano invertire. Nel 1865 a seguito della guerra civile venne emanato il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che decretò la fine della schiavitù. Questo fatto comporterà paradossalmente un ulteriore disagio sociale enorme in particolar modo per quelli che oggi chiamiamo afroamericani. Essendo stati prelevati forzosamente dalle loro terre native, una volta terminata la condizione di schiavitù almeno dal punto di vista legislativo, si trovarono abbandonati a loro stessi senza poter contare su nessun sostegno economico. Questo è stato il vero disastro.
In Europa stiamo pagando scelte di alcune centinaia di anni fa quando l’osannato statista inglese Sir Winston Churchill si ricoprì di fama e gloria grazie alle strategie vincenti che consentirono gli alleati di sconfiggere i temuti nazisti cui scopo finale era lo stesso di chiunque scateni o partecipi ad una guerra: annientare l’avversario possibilmente cancellandolo dalla faccia della terra. L’hanno fatto gli americani con i coreani o gasando i vietnamiti, sganciando bombe atomiche in Giappone; tutt’oggi lo fanno gli israeliani bombardando i civili palestinesi o con escursioni belliche in Siria dove colpiscono ospedali e scuole. Per non parlare di ciò che avviene in Afghanistan, Iraq, Yemen e via dicendo. Churchill tracciò con righello e matita i confini del Medioriente separando pacifiche tribù di beduini. Lo fece senza interpellare nessuno durante un caldo pomeriggio, dopo aver pranzato e bevuto abbondantemente come suo solito.
Eppure sui libri ufficiali è quasi impossibile leggere versioni realistiche di quanto avvenuto.
Chi vince scrive la storia.
Poi c’è lo stato di polizia che serve a mantenere chiaro il concetto che al povero non è consentito partecipare alla spartizione del bottino. Per mantenere vivo il decadente equilibrio del capitalismo c’è necessità che una piccola parte di mondo goda del prodotto, gli altri devono lavorare duramente per produrla. L’abolizione della schiavitù non comporta l’acquisizione dei diritti fondamentali. Nativi americani, afroamericani, asioamericani ed ispanici sudamericani, hanno continuato ad essere discriminati perché poveri. Negli anni c’è stata un’evoluzione economica e tra questi molti sono emersi. Anche in questo caso sono stati i mass media occidentali a sdoganare l’immagine del poveraccio che cavalca il sogno americano sostenendo che è merito della democrazia liberista delle pari opportunità se qualcuno di loro è diventato ricco e famoso. Sappiamo che non è così. L’etnia bianca si tramanda il senso di superiorità verso le etnie di origini povere o dissociate al capitalismo che si traduce in sguardi languidi e comprensivi che in realtà sono un sommario lavaggio di coscienza.
Per sancire dei diritti fondamentali si è dovuta scatenare una guerra civile che evidentemente non è bastata. Non sono bastate le manifestazioni pacifiche di Martin Luther King né tantomeno quelle violente delle Pantere Nere o Malcom X. Non sono bastati i disperati gesti simbolici durante le manifestazioni sportive. Non bastano i movimenti artistici. Non bastano i morti che ci sono stati e ci saranno.
Il capitalismo è una guerra giornaliera in cui tutti siamo illusi di correre sulla stessa pista ma la cui distanza è variabile per ognuno e ad alcuni non è manco consentito di partire.
Una cosa è certa: non si può più procrastinare la propria presa di posizione. L’attendismo di comodo si sta crepando sotto i colpi di una parte di società che non è più disposta ad alimentare il mondo dei potenti in cambio di infelicità. Se fortunatamente ci si trova tra i pochi che usufruiscono di privilegi sarà il caso di agire in modo tale da ripensare le regole ed inglobare nel progetto l’intera popolazione mondiale raggiungendo traguardi di uguaglianza e sostenibilità. Altrimenti si dichiari apertamente la volontà di salvaguardare il sistema attuale, dove l’uso della forza fisica e psicologica perpetrata dai potenti consenta di mantenere la supremazia a danno dei soliti poveri.
Consapevoli di questo prepariamoci alla resa dei conti.
Il capitalismo corre sempre il rischio di ispirare gli uomini ad essere più interessati a guadagnarsi da vivere che a vivere
(Martin Luther King)
Giordania. Lawrence si arrabbia.

Il vento, le bufere di sabbia, uomini intrepidi che attraversano il deserto del Wadi Rum a costo delle loro vite. Nonostante le scomodità ed i pericoli trovano il tempo per contemplare la grandezza della natura, la bellezza che si presenta davanti ai loro occhi di giorno e di notte. Tra gli ammiratori di questo mondo c’è un soldato inglese diventato leggenda: Thomas Edward Lawrence, per i più conosciuto come Lawrence d’Arabia. Cavalca un dromedario, si spoglia delle sue vesti di ufficiale dell’esercito inglese per indossare una galabeya e combattere a fianco delle etnie beduine. Saranno le promesse di ricchezze ed autonomia a convincere questi ultimi ad intraprendere epiche battaglie al suo fianco. Sarà lo spirito libero di Lawrence a farlo innamorare di popoli dalle tradizioni così distanti e basiche rispetto al protocollo di Sua Maestà. Non sarà uno scontro con i nemici ad ucciderlo, ma un’uscita di strada nella Contea di Dorset in sella alla sua moto nel 1935.
Il suo spirito, c’è da crederci, sarà tornato a rivivere i suoi giorni migliori sfruttando le folate di vento o i raggi di sole che giorno dopo giorno aleggiano nello scenario del Wadi Rum. Come c’è da credere che se il Tenente Colonnello Lawrence fosse stato ancora vivo ai giorni nostri, avrebbe presenziato fisicamente quei luoghi. Chissà se anche lui, visti i tempi di crisi, avrebbe optato per un volo low cost. Non avrebbe riconosciuto Amman, la capitale della Giordania, che in questi decenni è diventata una vera e propria metropoli. Le migliaia di case in pietra bianca costruite su ogni centimetro disponibile dei colli che circondano la meravigliosa Cittadella. L’enorme quartiere abitato dai rifugiati palestinesi ormai rassegnati all’esilio forzato. Niente dromedari o sabbia tutto intorno ma strade affollatissime; pochi suk ma tanti centri commerciali. Poi Università, banche, locali e ristoranti tipici di elevata qualità. Ma si sarebbe fermato a contemplare nuovamente il Teatro romano che, come la città di Jerash, non solo resiste alle intemperie ed alla stupidità umana, ma rimane lì a ricordarci di come il Sacro Romano Impero abbia dominato gran parte del continente europeo e buona parte dei territori allora conosciuti; lasciando eredità storiche e culturali ancora oggi di immenso valore.
Si pensi solo che l’antica Gerasa o Jerash dir si voglia, meraviglioso patrimonio storico inspiegabilmente non protetto dall’Unesco, è emersa solo in percentuale che si aggira intorno al 15%. Lawrence, tra le varie anche archeologo, si sarebbe inorridito a vedere gran parte della città romana ostruita dalla costruzione di case moderne. Passeggiando tra le rovine sarebbe stato tra gli unici ad appoggiare le mani sui pilastri di roccia, a chiudere gli occhi e riceverne l’energia, come in un viaggio nel tempo. Ignaro che questa è l’epoca del selfie.
Attorno le guide, rassegnate ad un pubblico disinteressato e disattento con la memoria da pesce rosso, la curiosità di un ficus e vanesio come il Narciso di Caravaggio.
Nella tasche dell’ufficiale inglese sarebbe stata ancora presente la chiave che tante porte gli aveva aperto. Si chiama rispetto. Sul Monte Nebo, sia stato credente in Dio o meno, fedele alle parole del Papa o no, si sarebbe soffermato a guardare dall’alto quello spicchio di terra Sacra all’umanità e che proprio in nome di Dio sta causando tutt’oggi disperazione, morte ed apartheid. Un moderno crocefisso come protagonista, fredda composizione metallica e sullo sfondo il bagliore della cupola della Moschea di Al Aqsa a Gerusalemme, i riflessi del Mar Morto, il fiume Giordano e le sue acque purificatrici, il nuovo Stato di Israele e le sue prepotenze nascoste dietro ad un orizzonte placido e luminoso. Su quelle terre quanti eserciti, pellegrini, popoli disperati o speranzosi avevano cercato un po’ di fortuna. Magari una verità. O forse Dio o loro stessi. Lawrence si sarebbe riparato dal freddo stringendo le braccia tra la galabeya e coprendosi il volto con la kefiah. In silenzio contemplativo. Intorno a lui gruppi di persone urlanti eccitate all’idea di fare un’attività di gruppo: un selfie.
Ancora una volta la direzione di Lawrence sarebbe Aqaba. Dal Monte Nebo seguirebbe le coordinate 29°Nord e 35°Est e presto arriverebbe nella sua Valle della Luna. Durante il suo cammino rincontrerebbe i popoli nomadi che nei periodi più freddi lasciano le montagne per montare le loro tende in pianura. Tra coltivazioni di pomodori e greggi di pecore. Costeggerebbe parte del Mar Morto che troverebbe di alcuni metri più basso rispetto ai suoi tempi. Prosciugato dallo sprezzo di Israele che pompa acqua dal Lago Tiberiade e dal Fiume Giordano noncurante del fatto che tra qualche decennio non ci sarà più traccia di questo leggendario bacino che, tra le varie caratteristiche, è situato a 415 metri sotto il livello del mare. Si soffermerebbe a curiosare le fabbriche che trattano il sale del mare citato nella Bibbia come mare Salato per l’appunto.
Lawrence d’Arabia finalmente si addentrerebbe nuovamente nel deserto del Wadi Rum dove si commuoverebbe nel farsi scivolare tra le dita la sabbia rossa con la quale ha dovuto lottare fino allo strenuo delle sue forze durante i suoi lunghi ed epici trasferimenti. Seguirebbe con lo sguardo la roccia che in tutti questi anni, modellata dal vento, ha cambiato fisionomia ma non carattere. Guarderebbe l’orizzonte e riconoscerebbe lo stesso azzurro immenso del cielo che più di una notte, amorevolmente, l’aveva ricoperto di stelle.
Non sarà avvolto dal silenzio come allora perché ai giorni nostri non è contemplato. I discendenti dell’esercito di beduini da lui comandato adesso è al servizio dei turisti che cercano spiritualità patinate. Guidano dei fuoristrada accompagnando sulle dune frotte di forestieri in cerca di selfie.
Lawrence rimarrebbe sconvolto nel constatare la presenza di plastica quasi ovunque.
Forse mesto lascerebbe dietro a sé turisti e Wadi Rum arrabbiato e deluso dai cambiamenti e, fermandosi alla vecchia stazione dove tanti anni fa aveva organizzato l’assalto ai treni degli invasori turchi, sarebbe salito sulla vecchia locomotiva a vapore e, prima d’esser circondato da decine di visitatori fai da te con le loro grida e bambini invadenti, si sarebbe fatto un selfie.
Per poi dissolversi nel vento e nella sabbia e ritornare così ad essere uno spirito libero.
Speciale Giordania: Chi ci vive ci ha detto che…
CONTROVIAGGIO: Ciao Cecilia, per chi lavori e di cosa ti occupi esattamente?
CECILIA: Ciao sono Cecilia Mazzone, capocentro (responsabile assistenza per chi non lo sapesse) per un noto Tour Operator, in Giordania, mi occupo di assistenza alla clientela e di servizi turistici.
Alcune persone evitano di visitare la Giordania per paura di essere coinvolti in situazioni pericolose mentre la prima domanda da parte dei turisti che la scelgono come meta vacanziera è: ma c’è da fidarsi? Tu che ci vivi cosa puoi dirci a riguardo?
A dire il vero, la prima, non è proprio una domanda, ma un’osservazione da parte degli stessi; ovvero mi sento più spesso dire, “che meraviglia sono partito/a con tanta titubanza, vista la situazione intorno al Paese e invece mi trovo in un Paese tranquillo e la gente è speciale, accogliente e ti viene incontro sorridendo, sono piacevolmente sorpreso/a. Certo le domande di rito ci sono sempre alla riunione informativa: “si può girare tranquillamente? Come ci dobbiamo vestire?” Ma queste domande esulano dalla situazione politica che caratterizza l’area intorno a noi, sono domande comuni che chiunque si sente fare da persone che arrivano per la prima volta in un paese arabo.
Molti non hanno ben chiare le numerose differenze che contraddistinguono i popoli arabi da quelli nord africani e spesso anche la definizione di musulmano ed arabo non è ben definita nel collettivo occidentale con il rischio di farsi un’idea sbagliata. Chi sono e come vivono i giordani?
I giordani sono arabi, insieme a tutti i popoli medio orientali, quindi palestinesi, siriani libanesi, iracheni e si sentono discendenti e depositari, e con tanto orgoglio del popolo che abitava queste zone anticamente e che faceva parte di un unico impero La Grande Siria (di Bilad El Cham), si parla credo del VII secolo, durante il califfato degli Omayyadi. Oggi giorno, il popolo giordano è misto, direi giordano palestinese, inoltre lo Stato Giordano accoglie ormai da anni anche i profughi iracheni e da tre anni a questa parte tanti profughi siriani, piccole percentuali di cercassi ceceni ed armeni. Quindi non si può dire che il popolo che giordano abbia una sola identità, anche se tutti convivono pacificamente, sotto la guida di un Re: Re Abdallah II discendente della famiglia Hascemita.
I giordani però ci tengono tantissimo a non essere ”confusi” con i popoli del Nord Africa, come dici tu, poiché li considerano “berberi”( e lo dicono con una smorfietta a lato della bocca!); Nessuno qui ammette che gli Arabi hanno popolato le coste del nord Africa ed hanno fondato proprio in Tunisia una delle città capostipite dell’Islam “Kairouan” e nel tempo si sono mischiati con il popolo berbero. Quindi per noi europei i nord africani sono arabi anche loro… ma guai a dirlo qui!!! ( sstt!!!)
I giordani, vivono direi come noi europei: a nord almeno, nella parte del paese più evoluta economicamente; la capitale Amman è una città ultra moderna, dove ci si può divertire ad osservare tanti contrasti tra evoluzione economica, sociale e tradizione. Si entra in città e lì proprio tra le colline, dietro Abdoun che è il quartiere più elegante, ci sono ancora due o tre contadini con le loro tende, al pascolo i dromedari e vendono latte di dromedaria e prodotti caseari ai passanti… appena dietro la collina ecco spuntare magnifiche ville, di un eleganza straordinaria e poi, correndo sulla strada, ponti stradali di ultima generazione. Si raggiunge il quartiere successivo Jabal Hussein, un quartiere davvero ”popolare” dove si può notare tanta povertà, ma la gente è speciale. Anche qui nella grande città, la gente ti viene incontro, sorridono anche se non hanno nulla e ti dicono: ”Welcome to Jordan!”
Il sud , è ben diverso. A sud c’è deserto e si sente tanto la carenza d’acqua; c’è tanta povertà. In mezzo al deserto trovi villaggi che richiamano i quadretti del vangelo… davvero c’è un villaggio Gharandal, ogni volta che ci passo mi sembra di vivere nel presepe; trovi anche qualche contadino che cerca di coltivare il suo fazzoletto di terra tra mille difficoltà: come far arrivare l’acqua fino a lì? La maggior parte dei contadini sono allevatori che hanno pecore, dromedari e dove possono coltivano pomodori e angurie d’estate. Lo immagineresti? Sono famose le angurie del Wadi Rum.
Unica provincia al sud è Aqaba, che si affaccia sul mare. Qui la gente vive… già di che vive? Di servizi turistici. Aqaba raccoglie una buona percentuale di turisti che giungono dal confine con Eilat (Israele), o in aereo, e scelgono di dormire ad Aqaba e di recarsi in visita a Petra e al Wadi Rum.
Il contrasto tra nord e sud è molto forte. Non saprei dire cosa mi affascina di più e cosa affascina di più i turisti…
Quando si parla di Giordania è inevitabile non citare la bellissima Regina Rania Al Yassin e suo marito, Re Abdullah II. Come viene percepita la monarchia nel Paese? Parliamo di un Paese oppresso e militarizzato o i regnanti preferiscono investire in cultura e partecipazione del popolo?
E’ vero! I reali son molto amati! Lei è molto bella e si impegna nel sociale e lui si fa amare da tutti. Si interessa alle problematiche del popolo; si dice che spesso scenda in piazza per saggiare gli umori del popolo. Spesso interviene nelle scelte del Governo per controllare che tutto si svolga correttamente. Non sono state poche le volte che il Re sia intervenuto per sciogliere il Governo quando era venuta a galla qualche, diciamo irregolarità. Non si può dire che il popolo giordano sia oppresso dalla Monarchia, al contrario Re Abdallah e la consorte fanno un’ottima politica di divulgazione dell’istruzione, nelle zone più represse, laddove ce n’è più bisogno donano ai più bisognosi. Periodicamente il Re fa delle donazioni per la gente più bisognosa. Insomma, si fanno proprio amare!
Qual’é l’incidenza della microcriminalità nella vita comune? Le donne possono fidarsi a camminare da sole la sera per le vie del centro di Amman, ad esempio?
Insomma… Non mi sento di dire che non esista microcriminalità, ci sarà ma i turisti vengono tenuti lontano da tafferugli vari che possano avvenire in strada e che ci sono, è innegabile e sapientemente preservati da furti aggressioni e cosucce varie. Tutto deve sembrare perfetto al turista, è chiaro che poi la vita reale è un po’ diversa. Microcriminalità ne esiste ma siamo ben lontani dai nostri tristissimi standard. Non si sente mai parlare di donne aggredite ed ammazzate come succede nei nostri paesi europei. A me capita spesso di uscire la sera sia ad Aqaba che ad Amman e fino ad ora nessuno mi ha disturbato. E’ chiaro che comunque il turista viene sempre avvisato che il paese è tranquillo, ma non fidarsi troppo …è meglio!
Abbiamo chiarito, si spera, che la Giordania è un Paese accogliente, ospitale e sicuro. Non ci rimane che visitarlo quindi. Cosa c’è di imperdibile e cosa ci offre il territorio?
Eh… da dove cominciamo? Imperdibile. E’ un tour che ti consenta di ammirare la varietà di paesaggi che caratterizza questo piccolo paese, è qualcosa che ti lascia senza fiato: sei in auto viaggi, passi dal deserto alle riserve naturali come quella di Dana. (conifere del centro Europa) Poi ancora deserto e si scende giù e poi ancora giù. Mar Morto: un paesaggio incredibile e poi si risale e come d’incanto ti si profila sullo sfondo una metropoli come Amman che comincia ad apparire da dietro le sue colline… fantastico!!!
Imperdibile… Ovviamente Petra, ma anche Shobak, la riserva di Dana come dicevo, Monte Nebo. Wow che panorama sulla valle del Giordano! Imperdibile ancora il nord, la valle del Giordano a nord andando verso la frontiera a nord Sheikh Hussein, meravigliosa, egualmente importante da vedere Jerash e Umm Qais al confine con Siria e Israele, wow! Sullo sfondo il lago di Tiberiade, le alture del Golan… Quanta storia: si rimane incantati ad ascoltare la guida che ti riporta ai tempi biblici!!!
Da scoprire Il Down Town di Amman, detto anche Al Balaad brulicante di persone a tutte le ore… e quanti colori… profumi… da non perdere davvero!!!
E poi: il Wadi Rum! Che incanto! Non vorresti mai venir via da lì!
Durante la scoperta di questo affascinante Paese i clienti sono seguiti, o meglio, devono seguire delle guide che sono molto preparate, fondamentali nella riuscita del viaggio e considerate un’inestimabile valore aggiunto. Qual’è il loro rapporto con i clienti?
Che dire? La guida è il biglietto da vista del Paese e loro ne sono consapevoli. Si sentono depositari della verità che racconteranno ai turisti e che viaggerà poi in Italia ed in Europa, di bocca in bocca.
Il loro impegno è straordinario! Tutti e dico tutti i giordani che fanno la guida si svenano per fare innamorare il turista del proprio Paese ed i turisti ignari di essere soltanto un numero si lasciano coccolare. Ma c’è qualcosa di unico e autentico che non viene insegnato a loro all’Università ed è questo senso dell’ospitalità proverbiale, che è innato in tutti i giordani dal primo all’ultimo: sono a dir poco amorevoli con i nostri turisti, li coccolano come se fossero dei Reali. Ognuno di loro. Ahimè, a volte capita che ricevano in cambio un commento o un gesto poco carino che appare a loro come uno sgarbo e logicamente si offendono. Ma è solo una nuvoletta, poi passa.
Qual’è lo standard delle strutture ricettive?
Uh!!! Che tasto dolente! La Giordania è un Paese relativamente recente e ancora più recente è la sua apertura al turismo. Non vanta gli anni di training sulla ricezione turistica dell’Egitto o della Turchia, ovviamente a parte le catene internazionali gli hotel hanno uno standard che è solo giordano anzi direi mediorientale visto che in Siria ho visto lo stesso… e anni fa anche a Beirut; uno standard molto più basso, direi che un hotel 4 stelle può corrispondere al 3 stelle o 2 stelle europeo. Tutto sta nel saper sensibilizzare la clientela alla realtà del posto. Il cliente che è consapevole di quel che offre il Paese accetta più serenamente certi limiti dell’hotel che ha prenotato.
Tale lavoro naturalmente spetta a me perché i giordani non si scompongono più di tanto: ti sbattono in faccia un “vuoi stare nel mio paese? Allora prendi quel che c’è e taci!” Lo stesso dicasi per i pullman: siamo in alto mare. Gli unici pullman che possono esser definiti tali per i nostri standard sono il 50 posti e il minivan 6 posti. Tutti i pullman di dimensioni intermedie sono molto folkloristici, mettiamola così! Del resto il turista ormai trova tutte le informazioni sulla rete e da un pò di tempo a questa parte, arriva in Giordania con un buon pacchetto informazioni e commenti di altri clienti che ci sono già stati. Questo a volte può rappresentare un danno.
Siamo nell’epoca del multimediale ed uno dei nuovi timori del turista è la copertura internet. Chi visiterà la Giordania andrà incontro ad un’astinenza da rete e social network?
La Giordania ha conosciuto una evoluzione tecnologica molto rapida e continua ad evolversi anche più rapidamente dell’ Europa, seguendo direttamente i modelli americani e cinesi. Inutile negarlo, sono più avanti di noi (soprattutto coi prezzi cinesi) I nostri contadini dell’entroterra siciliano o sardo, ma anche piemontese fanno fatica ad utilizzare il cellulare e spesso non c’è copertura. Qui di copertura ce né anche troppa: siamo bersagliati da campi elettromagnetici. Provate ad immaginare tutti i satelliti che sono puntati sul confine Giordano-Israeliano!!!
Pensate che un beduino in deserto si lasci scappare la possibilità di avere l’ultimo modello di smartphone? Anche no! E’ proverbiale l’ immagine del beduino che viaggia in dromedario e telefona al vicino di terra a 20 ettari di distanza con l’ultimo modello Samsung e sulla sua tenda campeggia un bella padellona, ultima generazione di ripetitori, marca immancabilmente cinese…
Diversa è la situazione per i clienti, turisti che arrivano in Giordania pensando di usare la rete col contratto italiano. Impossibile. Tu spendi 15 minuti di riunione a spiegare come fare per utilizzare il loro smartphone come semplice telefono cosa che li lascia basiti. (con quello che hanno speso!) Ancora di più ci rimangono quando, dopo che li hai convinti a spegnere la connessione dati, dici loro che il collegamento WiFi qui è a pagamento per tutti. La cosa li fa infuriare… però ultimamente il personale degli hotel si è rabbonito ed ha cominciato ad offrire happy hours con utilizzo free del Wifi o abbonamenti vari per la durata del soggiorno. Sul numero delle utenze per abbonamento? Beh, su quello ci stiamo lavorando.
Di stare senza Wifi per 8 giorni, no, non se ne parla. Piuttosto i clienti si comprano la sim card giordana e fanno 8 giorni di connessione con 5,00 JD (6 euro circa! Al Hamdulillah)
Il cibo può anche essere mediocre ma il Wifi quello no!!!
WELCOME TO JORDAN… AHLAN WA SAHLAN!!!!
Isreale contro Palestina
Argomento alquanto delicato ma visto che la disinformazione in Italia ha raggiunto picchi inaccettabili, cercherò di affrontarlo usando logica ed onestà intellettuale senza la pretesa di convincere nessuno, ma almeno documentando la mia totale solidarietà al popolo palestinese. Certo è che per un occidentale è sconveniente prendere una presa di posizione opposta a quella di comodo evitando di schierarsi dalla parte degli ebrei che nel frattempo continuano imperterriti ad applicare la loro politica di occupazione e di terrore.
Qualche lettore rimarrà spiazzato dall’indirizzamento di politica internazionale di questo post, ma il turista (specie italiano) sarebbe bene che capisca e si informi in modo adeguato prima di fare figure idiote nel resto del mondo. Ricordiamo che lo Stato di Israele viene inventato dalle Nazioni Unite nel 1947, completando di fatto l‘occupazione dei territori arabi già abbondantemente usurpati dalla loro autonomia dai turchi e dall’Inghilterra negli anni precedenti. Si innestano quindi gli ebrei in una terra araba chiamata Palestina fino ad allora e considerata terra promessa dai giudei. Israele comincia quindi a sgretolare lo Stato Palestinese fino a farlo diventare un gruviera e costringendo migliaia di sopravvissuti ad emigrare nella vicina Giordania ed in altri Paesi non solo limitrofi, ma del mondo intero. In pratica l’ebreo, dopo aver subito la shoah, si sente autorizzato a fare altrettanto costruendo mura contenitive in cui ghettizzare i palestinesi, bombardare parti del territorio da occupare con la scusa della prevenzione ad atti terroristici e di compiere quotidiani gesti criminali di cui si è anche abbondantemente macchiato l’ex premier recentemente scomparso Sharon, forte del fatto che ad ogni critica si può indicare l’avversario come temuto antisemita. Dietro a questo scudo si compiono impunite le scorribande ebraiche che hanno come unico obiettivo l’occupazione totale della Palestina e, chissà poi, non si vada oltre. L’intento di Israele di liberarsi di tutti gli arabi si concretizza nel coronare Gerusalemme come propria capitale, già capitale della Palestina.
Vieni quindi più da piangere che da ridere quando si sentono commenti del tipo gli ebrei continuano a subire attacchi da fanatici religiosi musulmani. In primo luogo dobbiamo ben specificare che gli attacchi avvengono da parte di Israele che vuole conquistare i territori ed impiantarci le proprie colonie. Semmai possiamo parlare di difesa del popolo arabo palestinese che ancora crede nella sua usurpata autonomia. Facciamo un esempio stupidino ma pratico: se lo Stato vi togliesse parte del vostro giardino per darlo a qualcuno che dice che quel territorio gli è stato promesso da Dio, come reagireste? Se una volta preso possesso del giardino arrivasse in casa vostra confinandovi nel solaio dicendovi che dovete andare altrove perché non siete graditi, accettereste in silenzio? Personalmente mi rivolgerei all’autorità e, visto che questa sarebbe complice dell’occupante, cercherei di farlo uscire da casa mia con le buone o cattive. Sono diventato d’improvviso un fanatico religioso o un incazzatissimo inquilino usurpato da casa mia?
Certo è che Israele è una finestra dell’Occidente sui territori arabi ed il potere degli ebrei, popolo storicamente legato al denaro ed al potere, non può essere messo minimamente in discussione per i motivi precedentemente illustrati. In pratica autorizzati a fare quello che vogliono per le colpe subite. Ti hanno ucciso i parenti? Non preoccuparti, adesso puoi uccidere tu quelli di qualcun altro.
Naturalmente queste sono parole che non sentirete mai pronunciare dai nostri politici opportunisti che prima vanno a porgere solidarietà al popolo palestinese per poi, lo stesso giorno, attraversare il confine e vestire il kippah ebraico strappando parole di gratitudine e contratti firmati per il rifornimento di caccia d’addestramento militare Aermacchi. http://selvasorg.blogspot.it/2012/04/monti-piazza-20-aerei-militari-ad.html
Se proprio bisogna difendere Israele lo si faccia con consapevolezza; la stessa coscienza che avrebbero dovuto avere i militanti nazisti che davanti allo sterminio degli ebrei han dichiarato di non sapere o di esser stati costretti ad eseguire gli ordini. (Renato)