Colonia. Cado giù

Buio pesto e silenzio.
Cado giù.
Il barile di latta in cui mi trovo continua la sua corsa verso il fondale del Reno.
Il rumore delle eliche delle chiatte che navigano il fiume penetrano l’involucro in cui sono forzatamente rannicchiato e si mischiano ai miei affannosi respiri che soffiano il mio terrore.
Più la morte si avvicina e più il tempo si dilata. I secondi diventano gommosi; si allungano senza mai spezzarsi. I minuti diventano eternità. Frame di vita che si accavallano come album di foto. Intanto il sangue confluisce verso gli organi vitali: il cuore, la testa, l’inguine. La sensazione corporea è pari ad uno shutlle sparato verso la luna; durante il tragitto si perdono pezzi e sul satellite atterra solo l’involucro principale.
Intanto tremo. Dal freddo. Dalla paura.
C’è da dire che come fine e proprio una fine del cazzo. Diciamocelo.
Un tonfo accompagna il mio rallentato atterraggio sull’alveo dove scorre il grande fiume. Fine della mia corsa.
Le saldature che stagnano il barile non fanno filtrare l’acqua ma nemmeno l’aria. Anche quella sta per finire. Il mio cervello è annebbiato, i miei ultimi lucidi pensieri stanno lasciando spazio ad evoluzioni surreali. Un altro modo magnificamente splendido che il corpo umano utilizza per proteggerci dalle sofferenze. Dalle torture. Dall’addio.
Nonostante l’assopimento e la paura, forse alimentato dalla rassegnazione, proietto le ultime immagini vissute a Colonia. Che poi a me la Germania ha sempre fatto cagare. Non ho manco mai avuto queste grande simpatie per i tedeschi. Lei però era bellissima. I suoi capelli scendevano sulla sua schiena come le onde bagnano le bianche sabbiose spiagge dei Caraibi; il suo sguardo profondo e scuro forse proprio come il fondale su cui mi sono adagiato poco o tanto tempo fa.
Con lei ho passato fugaci momenti a parlare sulle scalinate della Kennedy Ufer. Le mani che adesso nemmeno sento più mi erano servite ad accarezzarle il volto; le dita per sfiorarle le labbra rosse che rispetto alla pelle chiara sembravano così esageratamente dipinte. L’ultima sera non era finita benissimo. Avevo litigato con un tunisino, egiziano o robe simili. Ormai quello è territorio loro. Fumano il narghilè, mangiano, si ubriacano, lasciano immondizia ovunque. Sono quelle generazioni post adolescenziali ribelli figli di disgraziati migranti che nemmeno il rigore tedesco può educare. Poi loro non si sentono tedeschi e non vogliono esserlo. Giusto così. In fin dei conti anche gli italiani sono fieri di mantenere vive le loro radici ed identità. Ma identità o meno quello era proprio un’idiota.
Avevamo continuato parte della serata isolati tra la gente ed il vociare di una birreria a Deutz. I nostri bicchieri continuavano a riempirsi mentre i discorsi erano sempre più conditi da parole inappropriate e prive di senso. Ad ogni stupidaggine corrispondeva un abbraccio. Qualche bacio.
Eravamo usciti da là dentro frastornati dalla confusione e dall’afa; dopo qualche passo stavamo rimpiangendo le calde temperature della birreria ma apprezzavamo il silenzio che ci stava accompagnando verso il ponte Hohenzollern, il ponte ferroviario più famoso di Colonia che specialmente la sera offre uno scorcio spettacolare. Arrivando dalla nostra direzione il complesso architettonico metallico sembrava indicarci la Cattedrale di Colonia e lei sembra dire: sono qui, guardatemi. Come la persona con la quale stavo condividendo quel momento. La donna che stava rubando i miei sguardi da ciò che ci circondava. Per quanto magnifico fosse tutto il resto, io vedevo solo lei. Non mi accorsi nemmeno dei treni che stavano passando uno dietro l’altro e del loro rumore. Attraversando il ponte scherzammo sulle persone che avevano voluto lasciare un segno tangibile della loro unione attaccando un lucchetto alle barriere che separano le rotaie dalla pedonal-ciclabile. Chissà se il nostro sarebbe rimasto integro negli anni oppure no.
Non perdemmo altro tempo a fantasticare, perché tempo non ne avevamo.
Ci ritrovammo nella camera di un albergo a spogliarci, toccarci, guardarci, poi ancora toccarci. Ripetemmo per decine di volte il goffo gesto di fonderci l’uno all’altra, di unirci in un corpo solo, un’anima sola.
Mentre fuori i ragazzi ubriachi cantavano qualche stupida canzone tedesca e le luci colorate magnificavano la città.
Intanto mentre ti immagino, qui a Colonia, sto morendo.
Chi ama donna maritata, la sua vita tien prestata.Proverbio
Polac…chi?

Nell’ipotetico ed irreale incontro storico tra i giorni nostri e gli anni ’50 d.C. , un viaggiatore e cronista dei tempi quale era Plinio il Vecchio, avrebbe probabilmente descritto i polacchi come “uomini poco inclini al sarcasmo, dalle rotondità del capo pronunciate e chiari grandi occhi come sesterzi a guardare il loro mondo”. Naturalmente l’ipocrita benpensantismo attuale non avrebbe di certo accolto le parole che assurdamente ed ipoteticamente abbiamo messo in bocca, ad ovvia insaputa, dell’illustre predecessore.
Fatto sta che i polacchi, ci scusino lo stereotipo, sono un popolo piuttosto particolare, vuoi per il freddo che devono sopportare per lunghi mesi, vuoi soprattutto per le vicende storiche che hanno profondamente condizionato il loro essere. La Polonia, trovandosi in una posizione strategica, è sempre stata terra di conquista, tra l’altro facile, da parte di Paesi oppressori che non hanno mai rispettato la cultura esistente con l’apice storico in cui prima della ritirata nazista, Varsavia venne rasa al suolo dai tedeschi, con l’Armata russa a pochi metri ferma a guardare l’ennesimo scempio perpetrato.
L’azzeramento dello sense of humor e l’attaccamento alla bottiglia sono probabilmente conseguenze storiche che i polacchi si portano dietro. Così come l’onda incerta tra la voglia di emergere e l’alone oscurantista che copre le velleità di rivalsa di questa nazione fondamentalmente poco considerata dal resto del mondo.
Eppure sono passati i tempi in cui le autostrade ospitavano goffe famiglie a bordo di sbuffanti e squadrate automobili sovraccariche, dalle giganti targhe nere con grandi numeri bianchi e gli adesivi PL in bella mostra sul vetro posteriore; oggi, come già detto, la new economy ha riversato il suo danaroso sguardo sulla Polonia, cambiando molte delle abitudini e concedendo loro nuove risorse. Certo dal punto di vista turistico, nonostante le tantissime cose interessanti da visitare, il Paese non sembra raggiungere il desiderato appeal e malgrado sia facilmente raggiungibile con voli low cost che come torce nelle tenebre aprono spiragli di luce su luoghi di indiscusso interesse storico come Varsavia o Cracovia.
Luce divina quella invece riversata sul Paese dal promoter più importante della Polonia, il Santo che pasteggiava a champagne, Papa Giovanni Paolo II all’anagrafe Carol Woytila, che dal 1978 al 2005 ha sicuramente contribuito in modo esorbitante a far conoscere a milioni di seguaci i suoi luoghi di provenienza, incrementando a dismisura se non altro il turismo religioso, ancora oggi propenso a pellegrinaggi in terra papale.
Ed è la voce del Santo Padre ad echeggiare tra le mura delle case e dei palazzi in occasione del anniversario della scomparsa, il 2 aprile, divulgata dagli altoparlanti delle chiese cattoliche e dai numerosi megafoni posti ai sit in organizzati nelle piazze tra fiori, lumini ed immagini proiettate sulle facciate.
L’intrinseca freddezza espressa nei palazzi di regime così come nella permalosità diffusa delle persone però mal si incontrano con le esigenze del turista mediterraneo, più propenso alla festa ed al dialogo, spesso futile tra l’altro, rispetto alla sorta di muro che si è costretti ad affrontare ad ogni affondo umano.
Poco umane anche le condizioni su cui si basa e fiorisce il nuovo mercato libero che, come detto, trova terra fertile nella terra polacca grazie al carattere storicamente sottomesso dei suoi cittadini, rivali in miseria di altri impiegati mediterranei, abbandonati in braghe di tela dalla fuga dei loro datori di lavoro; importanti aziende familiari, acquistate da multinazionali, smembrate e ricollocate in Paesi più flessibili tra cui la Polonia appunto.
Di questo sarebbe stato bello parlarne con qualche polacco a Controviaggio Channel sul canale You Tube ma purtroppo è più facile trovare un quadrifoglio nel deserto di Wadi Rum che un polacco disponibile.