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Berlino. Le parole che non sai

Lo scontro tra i due era stato piuttosto violento e questo causò la separazione.

Era giunto il momento di fare un punto della situazione, di stare da soli e riflettere sugli errori commessi. Di scegliere se puntellare definitivamente un sentimento più che mai traballante o lasciarlo volare via come un inutile palloncino al vento. Dopo anni di parole, gesti e respiri condivisi pareva assurda, ad entrambi, ogni minima rinuncia.

Il cielo di Berlino quella mattina ben si adattava all’umore di lui che aveva deciso di dedicare del tempo a se stesso in una delle città europee più simboliche dell’epoca attuale. Il viaggio era stato travagliato. Il sedile accanto al suo era rimasto vuoto fino a quando fu occupato da una passeggera probabilmente sua coetanea. Le osservò sbadatamente le mani, notò degli anelli argentati, un piccolo tatuaggio sul polso. Una serie di bracciali forse regali o ricordi di qualche viaggio. Per un attimo la guardò in viso ed incrociò il suo sguardo. Non era la persona che abitualmente viaggiava con lui, pensò. Fece un sorriso di cortesia, ricambiato, poi si incupì nuovamente.

L’albergo in cui avrebbe dormito a Berlino era in una zona centrale ed era stato scelto da lei. La prenotazione era a nome della ragazza ed essere costretto a pronunciarlo al momento della registrazione gli provocò fastidio allo stomaco. Un misto tra rabbia, delusione e sacrilego. La camera dell’albergo era atipica e curata nei minimi particolari. Appoggiò la valigia e la esplorò con una prima occhiata notando un letto dall’aspetto confortevole e dalle dimensioni piuttosto grandi, poi si soffermò su alcuni quadretti e specchi appesi ad una parete. Aprì le porte del bagno e della doccia e, prima di sedere sulla poltrona di velluto, aprì le tende in modo da poter ammirare un murale dipinto su una parete nel cortile. Senza quel tocco artistico sarebbe stato un ostacolo alla vista e nient’altro. Si soffermò a scrutare altri oggetti nella stanza, poi sospirò lasciandosi cadere in un sonno profondo.

Girare una città sconosciuta da solo era una delle cose che riteneva più stressanti in assoluto. Durante il cammino era infastidito nel imbattersi in opere d’arte senza avere la possibilità di poterle condividere. Così come le persone che incrociava non avevano nessun motivo di esistere se non potevano essere commentate, spesso scherzate, nel gioco che erano soliti fare i due ragazzi. Era semplicemente un training di complicità piuttosto che malizia o cattiveria. Spunti per ridere assieme.

Prese la metropolitana per raggiungere Alexander Platz. L’unica cosa che lo distraeva dal suo pensiero fisso erano le decine e decine di murales che lo accompagnavano ovunque. Mentre immagini malinconiche scorrendo velocemente dal finestrino del treno testimoniavano il cambiamento dei tempi, cominciò a pensare che forse tra lui e Berlino qualche similitudine esisteva. Scese ad Alexander Platz.

Nella piazza, che trovò piuttosto sporca, c’era una manifestazione che denunciava un progetto di riqualifica di un quartiere storico. Contestavano l’F24 Alpha, questo il nome del piano di lavoro, di voler innestare delle case moderne ed accessibili per pochi privilegiati a discapito degli storici residenti attuali. La forma di protesta pacifica era originale se non altro. Persone truccate e vestite da zombie si spostavano sostenendo dei cartelli con scritte in tedesco. Il gruppo di protesta si chiamava Die Verdrängten, quelli repressi tradotto. Era tutto molto curioso ma l’interesse finì al termine della sfilata. Decise di mangiare qualcosa in un locale nei pressi della stazione. La famosa Alexander Platz non l’aveva entusiasmato. C’é da dire che in quelle condizioni psicologiche forse ben poche cose sarebbero riuscite a smuoverlo. Sorseggiò il cercando di individuare qualche notifica di lei sullo smartphone ma ovviamente il nulla.

Impostò google map in direzione Checkpoint Charlie e lì si diresse. Una volta raggiunto rimase nuovamente  deluso da quello che una volta era stato un’importantissimo e spesso tragico passaggio tra Occidente ed Oriente. Una delle tante assurdità architettate dall’uomo adesso era diventato un teatrino del ridicolo con dei personaggi vestiti da militari americani ma dagli accenti albanesi o rumeni, intenti a farsi fotografare dai turisti che avrebbero conservato fasulle e fittizie immagini del momento.

Proseguì il cammino fino ad arrivare al perimetro di ciò che rimane del muro di Berlino. Il simbolo per eccellenza della divisione e massima espressione dell’idiozia umana. Potere, avidità, incomprensione, ottusità. Ogni mattone che è stato posto su quella linea divisoria rappresenta i sentimenti più inumani possibili immaginabili. In molti hanno cercato di scavalcare quel muro, in pochi ce l’hanno fatta. I meno fortunati sono ancora oggi ricordati da foto o nomi che a leggerli ci si vergogna. Ma quanti muri di comodo resistono nell’oblio generale ancora oggi? Pensò il ragazzo mentre fotografava uno dei tanti simboli rimasti in memoria. Poi pezzi di muro che frenano schizzi di vernice in cerca di spazi infiniti da colorare. Che nascondono treni in movimento o persone di passaggio.

Alzò lo sguardo davanti all’imponente porta di Brandeburgo, ennesimo sigillo al potere, alla grandezza. In contrapposizione al monumento ancora proteste e rimostranze contro il sistema. La più curiosa era mossa da un uomo super fisicato che sotto una gigante bandiera tedesca elencava agli innumerevoli passanti motivazioni letteralmente insignificanti. Le foto assumevano contesti goliardici piuttosto che politici e le risatine delle ragazze intente a scattarle ne erano la conferma. Più il ragazzo sfiorava l’ilarità più ne subiva l’effetto contrario. La sua malinconia aumentava di sproposito nel vedere gli altri ridere e divertirsi.

Arrivò presto la sera e si ricordò che in tutto quel tempo non si era neanche minimamente interessato di bersi una birra. Non farlo in Germania era impensabile.  Si sedette così in un locale storico della metropoli tedesca e sfogliò lentamente il menù. Pensò alla birra che avrebbe gradito la sua compagna e ne ordinò una per sé ed una per lei. Simbolicamente. Come se si fosse assentata un attimo e da lì a poco avesse preso posto accanto a lui. Come è sempre stato d’altronde. La cameriera prese l’ordine, si guardò in giro in cerca della seconda persona che ovviamente non era presente ed essendo tedesca, notò l’anomalia, ma non commentò.

Le birre aiutavano a far scivolare i turbamenti e liberare le fantasie. I pensieri si accavallavano nella sua testa in maniera disordinata e copiosa. Le proteste, i murales, i monumenti, i turisti, il muro… Già il muro. Che lui aveva condannato fermamente senza lasciare spiraglio a nessuna giustificazione era lo stesso che aveva innalzato dentro di sé. Un muro che lo divideva dalla persona che più aveva amato ed amava in quel momento. Per orgoglio, per stupidità, forse per qualcuno degli stessi motivi che il muro di Berlino aveva causato così tanto imbarazzo al mondo intero. Loro stavano facendo lo stesso in fondo, avevano cominciato una guerra fredda in cui ogni sentimento buono che cercava di scavalcare il muro veniva soppresso. Lasciato cadere a terra esanime. Quante carezze, quanti baci erano stati ammazzati fino ad ora? Persi per sempre.

Il primo boccale di birra era terminato. Il muro cominciava a vacillare.

Non ha senso tutto ciò, pensò. Come posso permettermi di giudicare gli altri se sono io il primo ad erigere delle barriere verso le persone a cui tengo di più?

Si fece coraggio. Impugnò il telefono e mandò un messaggio: Quando torno ti dirò un sacco di parole che non sai. Che non ti ho mai detto. Sono uno stupido.

Rimase a fissare lo smartphone per tutta la durata della seconda birra, sorso dopo sorso, in attesa di una risposta che non arrivava.

Rassegnato ed annebbiato da tutta quella quantità di alcool ingerita posò il bicchiere vuoto sul tavolino e mise goffamente una mano in tasca alla ricerca del portafoglio.

Nel mentre ci fu una vibrazione.

Va bene, quando torni ne parliamo, lesse.

Sorrise, ringraziò la cameriera intenta a servire altri tavoli e tornò in albergo.

Bruges: Aime moi peu, mais continues

fiumeL’ho incontrata per caso, per chi crede nel caso, in un piccolo bar dove mi ero chiuso per ripararmi dal freddo. Ero a Bruges per scrivere un pezzo e la persona che attendevo da oltre tre ore in piazza Markt non si era fatta viva all’appuntamento. Evidentemente aveva trovato di meglio da fare.

Che io fossi uno straniero probabilmente lo si capiva dal fatto che all’interno del tiepido locale ero l’unico infreddolito a vestire il giubbotto, mentre il secondo palese indizio era che a scaldarmi le mani non ci fosse una bevanda calda, ma un bicchiere di birra ambrata. Belga ovviamente.

kunstLei era seduta da sola in disparte a fianco alla vetrina. I passanti che dalla strada limitrofa sbirciavano dentro la sala videro una figura parzialmente nascosta dall’insegna del bar. La scritta era formata da caratteri liberty dorati. Sul suo tavolino una tazza di fumante tenuta tra le pallide mani di ragazzina. Nonostante l’atteggiamento indicasse la voglia di non apparire, il volto luminoso la rispecchiava quasi ovunque. Tra gli specchi del locale, nel bancale contente dolci e cibarie varie, nella vetrina di prima e, sono sicuro, anche nella piccola superficie di circoscritta nella tazza che di tanto in tanto portava alle sue sensuali labbra rosse. Mentre lo sorseggiava, di riflesso porgeva lo sguardo in un punto fisso. Guardava fuori. Finito, appoggiava la tazza e riprendeva a guardare un po’ di qua, un po’ di là. Disinteressata.

La osservavo nei movimenti, ne seguivo lo sguardo. C’erano degli abiti appesi all’ingresso, chissà se un lungo cappotto color crema ed un berretto in lana dalle larghe maglie fossero stati posati lì da lei al suo ingresso. Poteva essere, perché il maglione che indossava si abbinava perfettamente al resto. Anzi, era proprio così; a pensarci bene erano suoi per forza.

legoCominciò lei la conversazione. Se non ricordo male mi chiese se Bruges era di mio gradimento. Preso alla sprovvista non brillai certo nella prima risposta. Migliorai in quelle successive, dove la banalità della descrizione degli edifici medievali, i negozi di cioccolata onnipresenti, il turismo di massa e la qualità della birra lasciarono posto a considerazioni più profonde. Mi piace parlare con le persone che danno slancio al discorso, che utilizzano le parole come operai in un cantiere impegnati a costruire qualcosa di solido ed importante. Parlare con lei, a Bruges, con questi toni, aveva un significato ancora più simbolico. In fin dei conti un buon narratore ha molte similitudini con una città medievale; Possiede forti mura a protezione dei suoi beni e delle sue convinzioni;  l’interno della città deve essere vitale, aperta a nuove idee, in movimento costante e pronta ad espandersi e difendersi, se necessario. Mantenendo lo stile, senza stravolgere le origini; come il suo grammaticalmente perfetto inglese, cadenzato da un’andatura in levare francese.

kruispoortIl treno per Bruxelles non m’avrebbe di certo aspettato e, francamente, una giornata a Bruges sarebbe stata più che sufficiente per vedere ciò che avrei utilizzato per descriverla. Il colloquio con lei era piacevole anche se spesso perdevo dal mio carro dell’attenzione qualche sacco di sue rivelazioni, inevitabilmente distratto dai suoi occhi verdi e dal passare del tempo.

Mi anticipò di qualche minuto, con un congedo sorprendente quanto l’introduzione. Si alzò, salutò frettolosamente ma con garbo, indossò gli abiti che le avevo assegnato d’intuito, senza bisogno di aiuti galanti.

Mi ero riseduto e lei non c’era più.

Non conoscevo il suo nome e spinto dalla curiosità lo chiesi al gestore del locale che, indaffarato nel passare lo straccio sul banco, non mi rivelò nulla. Pare non l’abbia mai vista prima. Anzi, ne era sicuro.

orsettoSalutai, prima di aprire la porta chiusi bene il giubbotto,  indossai guanti e berretto, quindi uscii, diedi uno sguardo a sinistra e destra per evitare d’essere investito da onnipresenti biciclette o carrozze trainate da cavalli ed in men che non si dica mi trovai nuovamente catapultato nel freddo di Bruges. Dopo tanto romanticismo avrei dovuto fare in fretta a ricordarmi le coordinate per arrivare alla Station Brugge, il più veloce possibile appunto.

Ci riuscì e solo dopo qualche minuto di viaggio a bordo del mio treno pensai che non sapevo nemmeno il nome di lei, eppure per qualche istante l’avevo amata.

Per poco, ma l’avevo amata.

Ogni volta che ricorderò quei momenti l’amerò, mi dissi.

Per poco, ma continuerò ad amarla.

 

Dedicata a Bruges

 

True colors in SriLanka. La natura. (Terzo Capitolo di Tre)

DSC_2162Quello che i primi colonizzatori hanno trovato sull’isola una volta sbarcati in Sri Lanka è parte di cui si può vedere ancora oggi.

In tempi non lontanissimi i popoli europei sulle rotte di terre inesplorate da conquistare non si facevano certo scrupoli a distruggere e modificare civiltà e morfologie preesistenti; ciò che tutt’ora avviene ma con mezzi più subdoli ed ingannevoli. La differenza tra ieri ed oggi sta semplicemente nel fatto che gli inglesi durante la loro presenza non erano sufficientemente tecnologici per radere al suolo tutto; i danni al territorio sono stati così limitati. Tra l’800 ed i primi del ‘900 non esistevano abbastanza automobili e risorse per poter pensare di costruire un’autostrada simile a quella che giorno dopo giorno, in questo momento, consuma verde prezioso; né tantomeno c’era la necessità di edificare eco mostri innalzati dal niente come quelli che hanno recentemente dato vita a città fittizie come Dubai ed Abu Dabi e che stanno per svilupparsi anche nei centri cittadini cingalesi più evoluti economicamente. Difficile scrollarsi di dosso l’esempio emblematico delle Maldive, quando l’ospite viene esortato dal pinneggiare sulla barriera corallina per non rovinarla ed a pochi metri ruspe scavano e distruggono l’eco sistema per aprire canali che permettano alle barche di attraccare a pochi centimetri dai Resorts.DSC_1673

In gran parte dello Sri Lanka fortunatamente la natura la fa da padrone e quando i governanti cingalesi capiranno che la loro vera risorsa è proprio quella, indirizzando l’offerta turistica nella direzione puramente ecologica, potranno raccogliere risultati ancora più sorprendenti di quelli che ora offrono al visitatore enormi foreste difficili da esplorare, ettari di campi coltivati o lasciati incolti, parchi e riserve naturali.

DSC_2068Il clima tropicale favorisce naturalmente lo svilupparsi di migliaia di tipologie di piante differenti. Se nel caso degli animali il più simbolico potrebbe essere l’elefante, difficile non affidare lo scettro alla palma di cocco per quanto riguarda il settore faunistico. Riconoscimento dato più che altro per il largo uso che questa pianta offre alle esigenze dell’essere umano. I cingalesi la paragonano al nostro detto “del maiale non si butta via niente” riferendosi alla palma e non al suino chiaramente.DSC_1793

Non può mancare una citazione ai centinaia di ettari di terra utilizzati per le rinomate piantagioni di . Bevanda di largo uso e consumo, il famoso tè di Ceylon (traslitterazione inglese del nome dell’isola oggi Sri Lanka allora Ceilão appioppata dai portoghesi nel 1505, ennesimi colonialisti) e bevanda completamente diversa da quella che beviamo comunemente nelle nostre tazze. Ma questo è un capitolo a sé che probabilmente approfondiremo sul blog più avanti…

DSC_2113Ciò di cui l’uomo necessita lo si trova in natura e così lo Sri Lanka brulica di aziende botaniche che elaborano prodotti ayurvedici per qualsiasi esigenza, da quella medica a quella fisica. Certo che la chimica in taluni casi è indispensabile per sperare e raggiungere una completa guarigione, ma è anche vero che l’uso di farmaci comuni, spesso sfociante in abuso che creano assuefazione ed anche impercettibile avvelenamento, potrebbe essere completamente sostituito da prodotti naturali.  DSC_2071

Chimica o naturale parte fondamentale della malattia o della guarigione è la nostra mente così che tra le fitte boscaglie, oltre a diverse specie di animali che abbiamo descritto in questo post https://controviaggio.wordpress.com/2015/05/13/true-colors-in-srilanka-gli-animali-secondo-capitolo-di-tre/ sbucano luoghi di culto nati con tale rispetto ed armoniosità che riescono quasi ad ammorbidire gli impervi paesaggi circostanti. Non contrastano la natura perché già nell’antichità furono scavati o ricavati dalla roccia, arricchiti con strutture in legno per lo più scomparse e distrutte dai secoli, dipinti con tenui affreschi in calce, miele d’ape, sabbia e succhi d’erbe, in taluni casi arricchiti da ingegnosi giochi d’acqua, difficilmente riproducibili anche ai giorni nostri. Come nel caso della fortezza di Sygiria risalente al V secolo.DSC_1490

Stesse bellezze anche a Polonnarua tra le rovine della seconda capitale, quello che rimane del Palazzo Reale, la piscina di Kumar Popuna ed il Tempio Indù di Shiva con statue realizzate in marmo, quarzo e calce. Questo significa muoversi tra la natura dello Sri Lanka, tra templi e rovine semi nascoste che diventano parte integrante del paesaggio; Immancabile naturalmente le raffigurazioni del Budda come al Tempio d’Oro a Dambulla ove si erge una statua di 30 metri, o le 5 grotte contenenti altri 152 rilievi raffiguranti la divinità costruite tra il I sec. a/C* (*che significa Primo secolo avanti Cristo e non 1 secondo di aria condizionata per chi non lo sapesse ancora) ed il 1939 dove addirittura un capitano dell’esercito occupante inglese si dedicò alla realizzazione di una grotta dedicata al Budda.DSC_1476

Forse è proprio menzionando questo capitano inglese che si trova la fine più consona ai nostri pochi racconti del magnifico Sri Lanka; una persona sbarcata sull’isola con il compito di istruire ed inculcare la arrogante e saccente cultura europea ai popoli indigeni scoprendo invece in quei luoghi ed in quelle persone, allora come forse oggi, l’armonia e la serenità che appartiene solo a chi è capace di rispettare il prossimo.

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True colors in SriLanka. Gli animali. (Secondo Capitolo di Tre)

Incominciare una soleggiata e calda giornata facendo colazione all’aperto, sorseggiando il , spalmando il miele di palma sulle fette biscottate mentre a pochi metri osservi sui rami degli alberi uno scoiattolo freneticamente intento a procurarsi le sue provviste mangerecce non è scenografia abituale per molte persone, abituate a caffè e brioches al volo nel bar della stazione, con quest’ultima pietanza consumata nelle migliori delle ipotesi. DSC_1347La meraviglia che suscitano nel collettivo gli animali nostrani è ridotta ormai alla discutibile simpatia di veder qualche cane di piccola taglia forzatamente indossare il classico cappottino o gli ormai sdoganati vestitini di svariati tagli e cucito. Fatto sta che la tendenza umana ad avere sempre e comunque tutto sotto controllo ha praticamente annientato gran parte della natura selvaggia ed incontaminata dove gli animali si comportano da tali, aggressività e pericolosità annessi e non da creature della Walt Disney che nel umanizzarle si è resa costretta ad eliminarne tutti i comportamenti nella nostra cultura considerati violenti, censurando così nell’immaginario dei bambini le abituali e crude scene faunistiche che altro non sono che leggi di sopravvivenza.

Scimmia sorridente

Scimmia sorridente

Aquila Reale

Aquila

Tornando alle prime righe in cui il miele scorreva sulle fette biscottate e lo scoiattolo zompettava all’apparenza spensierato sul ramo dell’albero, la sedia su cui il nostro culino stava poggiando era situata su territorio cingalese, per la cronaca. Per il viaggiatore una delle tante attrazioni dello Sri Lanka sono le numerose specie di animali in libertà che condividono con le persone questa spettacolare isola immersa nel verde e bagnata dall’Oceano Indiano, fauna che si erge spesso a protagonista di rilievo durante le esplorazioni e le visite. Come nel caso delle scimmie, presenti quasi ovunque, ai bordi delle strade o nei templi buddisti, arrampicate sui cavi del telefono nelle città, raggruppate nei parchi o semi nascoste sugli alberi. Per chi non ha l’abitudine di vedere saltare scimmie sul tetto di casa o nel proprio giardino, i primi due giorni di permanenza in Sri Lanka sono sorprendenti; non la pensa così la guida costretta a fermare l’auto ogni un per due per far sì che esigenti visitatori possano scattare delle foto a primati di cui il Paese è fortunatamente stracolmo. DSC_1364Nel nord dello Sri Lanka in particolare, laddove l’autostrada non è ancora arrivata, sul ciglio delle strade è facile incontrare iguane e varani dalle notevoli dimensioni, alcuni dei quali innocui è già sulla via dell’addomesticamento a scopo turistico. Per ora non capiterà stessa sorte alle innumerevoli specie di volatili, tra cui il colorato Martin Pescatore, la maestosa Aquila o le volpi volanti indiane, enormi pipistrelli che si nutrono di solo frutta nonostante l’aspetto tenebroso ed inquietante facciaDSC_1564 temere il peggio. Tra il verde delle coltivazioni è invece facile imbattersi in buffali di allevamento, mentre nella boscaglia se si è fortunati è possibile l’incontro con i caprioli adulti ed i loro cuccioli, conosciuti disneianamente come Bambi. Animali sicuramente più facili da vedere anche in luoghi meno esotici ma non per questo l’incontro casuale con loro è meno emozionante. Come premesso non sempre la natura è accondiscendente con lo spirito di conquista umano ed i cingalesi non troppo di rado ne fanno le spese, pagando con la loro vita incontri con serpenti velenosi di diverso genere tra cui il famigerato cobra. DSC_1708Purtroppo proprio durante la nostra presenza si è consumata una tragedia capitata ad un signore anziano intento a coltivare il suo orticello, morso da un serpente velenoso di cui si sono perse le tracce. Fosse stato un cobra la causa della morte del pover uomo, non si sarebbe allontanato più di tanto dal corpo della vittima a differenza di altre specie che invece si disperdono velocemente nel verde circostante. Non è raffigurato sulla bandiera nazionale dove troneggia un leone con in pugno una sciabola, ma l’elefante è l’animale più simbolico e ricercato in assoluto. DSC_1941Gli enormi pachidermi dallo sguardo mansueto ma alquanto irritabili, si possono osservare in diverse versioni e, manco ci fosse il bisogno di ripeterlo, possono essere cavalcati in una passeggiata che, se non dal punto di vista del profitto per il proprietario delle bestie, azzera ogni legame con la scintillante e competitiva plasticosa vita occidentale cui apparteniamo. DSC_1883Tappa obbligata è l’Orfanotrofio degli Elefanti che accoglie centinaia di esemplari, oltretutto facilmente avvicinabili. Come si evince dal nome questi animali sono stati prelevati dopo che la solita avidità umana gli ha tolto loro i genitori, probabilmente salvandoli dallo stesso destino. Sinceramente l’ambiente è più stile circense che scientifico ed il trattamento che ricevono è discutibile. In taluni casi incatenati o costretti al contatto con gli umani che si divertono ad allungare loro caschi di banane, i pachidermi accettano loro malgrado l’offerta, sicuramente coscienti del fatto che se si trovano in quella situazione è proprio perché le persone intorno, che strillano e fan foto a raffica, ce li hanno messi. Più fortunati invece sono gli elefanti in completa libertà e che la DSC_1919sera fanno la loro comparsata ai bordi delle strade; l’istinto è quello di scendere dall’auto e scattare the pic of the week, non fosse che il rischio di subire un attacco è altissimo. Se l’avvicinamento con i mezzi non provoca reazioni inconsulte infatti, la presenza dell’uomo può giustamente essere interpretata come minaccia dagli elefanti, quasi prossimi all’estinzione dopo una permanenza sul globo di 5 milioni di anni.

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