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Valloire: di chi è quel corpo?

La fitta nevicata notturna era terminata all’apparire delle prime luci dell’alba.

Il bosco imbiancato ricominciava ad emettere i suoi caratteristici suoni attutiti dallo spesso manto nevoso.

Le indicazioni scolpite nel legno erano le sole a rendere riconoscibili i sentieri a quell’ora inviolati.

Un’aria lieve, ma severa, soffiava scuotendo gli alberi quel tanto dal consentirvi di scaricare dai loro rami il ghiacciato carico in eccesso.

In un tratto del cammino, a pochi passi da un deformato pupazzo di neve, un cumulo; anch’esso di neve.

Nascondeva il corpo di una persona ormai senza vita. Il cadavere dello sfortunato individuo, visto l’imponente strato bianco che lo ricopriva, sicuramente aveva passato la notte nel bosco.

Attorno a quel episodio di morte qualche timido raggio di sole rimetteva in moto la vita, spronando a danzare sugli alberi gli scoiattoli e far cinguettare gli uccelli.

Quella mattina la vecchia sveglia meccanica del parroco aveva suonato regolarmente alle 4:30, come di consueto, ma stavolta il suo grosso indice non aveva premuto il pulsante dello spegnimento. La sveglia continuò ad emettere energicamente una ripetuta vibrazione metallica per un bel po’ prima di far ripiombare il silenzio nella cameretta. Il prete si alzava molto presto tutti i giorni, regolava di due scatti la stufa in modo da rinvigorirne la fiamma e riversava dell’acqua nel pentolino appoggiato sopra ad essa per mantenere la giusta umidità all’interno del suo modesto dormitorio. Appena in piedi, prima di pensare allo stomaco, si preoccupava di nutrire il suo spirito. Eseguiva le sue preghiere in ginocchio sul ruvido pavimento in legno della stanza rivolto ad un grande crocifisso nero di mogano che portava con sé in ogni diocesi cui prestava servizio. Ormai da anni era finito sulle montagne francesi, a Valloire, un luogo talmente piccolo ed ostile che a detta dei malpensanti significava una sorte di punizione inflitta dal Vaticano per qualche sgarbo o peccato commesso.

L’omone che con iniziali difficoltà era entrato a far parte della comunità montana, dentro al suo grande corpo vigoroso esibiva un carattere altrettanto forte ma celava un animo buono. Caratteristiche che aveva sviluppato nelle missioni, in luoghi dove le difficoltà derivavano da fattori climatici opposti e sicuramente più ostici di quello in cui si trovava ora e che, se non altro, era meta ambita dai turisti che lo rendevano spensierato.

Di chi era quel corpo senza vita nel bosco ricoperto dalla neve? Era il suo? Era successo qualcosa mentre rientrava a casa la sera prima dopo essersi recato nella Chiesa di Saint Pierre?

Il cane abbaiava ininterrottamente da una decina di minuti richiamando le attenzioni che il suo padrone ogni mattina e ben più presto di quell’ora, gli prestava riempiendo la ciotola di crocchette e dispensando qualche energica carezza. Il proprietario del peloso cane di grossa taglia oltre a gestire un negozio di articoli sportivi rappresentava il paesino di Valloire in veste di Sindaco. La casa in cui abitava era una bella villa in legno chiaro e di recente costruzione e di cui le ampie vetrate della zona giorno si affacciavano sulla valle. I primi raggi di luce penetrati nella casa fecero brillare le cornici di alcune foto che lo ritraevano sorridente assieme alla sua famiglia in posa con caschetti colorati e bacchette in mano su una pista da sci nel circondario. Da qualche giorno la moglie, accompagnata dai due figli, si era recata in visita dei genitori a Bordeaux lasciando così solo a casa il marito. La signora era una bellissima quarantenne dagli occhi verdi, le punte di capelli lisci e biondi appoggiate sulle spalle ed un atteggiamento signorile che la rendevano attraente alla vista di tutta la cittadina. La bambina di sette anni, stava crescendo seguendo le orme della madre; sia fisicamente che caratterialmente.

Il fratello di tredici anni invece, ricordava di più il padre, specie sorridente: il Sindaco era molto affabile e ben voluto ed anche per questo non gli fu difficile raggiungere l’ampio consenso che gli consentì di ricoprire la prestigiosa carica istituzionale. Ogni mattina, dopo aver provveduto a nutrire la sua bestiola, scendeva nel viale a spalare la neve in eccedenza per far sì che i suoi figli salissero senza problemi sulla Range Rover che avrebbe poi guidato fino all’ingresso delle scuole. Nonostante dovesse percorrere il medesimo tragitto per giungere al suo piccolo negozio, non sempre portava con sé i bambini. Con le giuste condizioni metereologiche lasciarli liberi di camminare era un gesto responsabilizzante, pensava.

Il corpo senza vita ricoperto dalla neve avrebbe potuto essere il suo? Poteva essere successo qualcosa la sera precedente quando come di consuetudine si era addentrato nel bosco in compagnia del suo cane? Dopo averlo riportato a casa e rinchiuso era tornato sui suoi passi?

I minuti trascorrevano e l’allarme di qualche presunta sparizione non si era ancora diffuso a Valloire.

Certo, il prete era una persona molto solitaria e di tanto in tanto si prendeva i suoi spazi mistici lontano dai parrocchiani, pertanto niente faceva presagire una sua sparizione. Così come il negozio del sindaco che quel giorno osservava il giorno di chiusura e che quindi non evidenziava anomalie ed in Comune non era previsto nessun incontro istituzionale.

Anche il capo della Gendarmerie che generalmente era tra i primi ad entrare nel bar del paese quella mattina pareva ritardare. Non era l’unico, notarono il suo collega, presente al banco con una tazza di caffellatte fumante e la giovane mascolina barista che l’aveva servito. Infatti anche il padrone del bar non si era fatto ancora vivo, stranamente. Nessuno dei due ebbe il minimo dubbio riguardante il fatto che avrebbero potuto essere stati ostacolati dalle strade innevate. In montagna le persone erano abituate a convivere in situazioni ben più difficoltose.

Il giovane gendarme, sicuramente più interessato a far colpo alla ragazza dietro al banco che a scoprire l’accaduto, la seguiva con lo sguardo mentre lei trascinando un secchio si muoveva tra la stanza del locale lasciando dietro sé un’odorante scia d’acqua e detersivo, ipotizzando a testa bassa i motivi del ritardo dei loro superiori.

Lo storico gestore del bar abitava da solo, abbandonato dalla moglie bielorussa cui aveva chiesto ed ottenuto il divorzio pochi anni dopo averla sposata. Lui ormai aveva una cinquantina d’anni portati piuttosto male, montanaro francese nato e cresciuto nei paraggi di Valloire. Terminati gli studi primari si era messo subito a lavorare: in un primo momento nella falegnameria del padre, poi come sguattero nel ristorante dell’hotel dove sua madre lavorava come aiuto cuoco. Negli anni, tra piccole eredità ed il lavoro, era riuscito a mettere via qualche soldo fino a riuscire a comperare il bar che ancora oggi gli procurava da vivere. Nel frattempo il turismo si era sviluppato piuttosto bene tanto da far salire le quotazioni del modesto locale che prima o poi avrebbe voluto vendere. Si era stancato di rientrare a casa molto tardi la notte con addosso l’odore di alcool, fumo e dei sacchi d’immondizia che gettava ad ogni chiusura. Anche per questi motivi aveva preso l’abitudine di fare una passeggiata nel bosco a notte fonda e nonostante avesse buttato in corpo qualche distillato per far compagnia a qualche cliente bevitore di grappa dell’ultima ora. Il sentiero lo conosceva meglio delle sue tasche ed il silenzio della notte lo rigenerava. Più di una volta era rimasto nel buio a fissare i giganti occhi luminosi di qualche gufo.

Le probabilità che fosse lui il morto sepolto dalla neve erano decisamente alte viste le premesse.

Era quindi suo il cadavere nel bosco?

L’ultimo a mancare all’appello, come detto, era il comandante della stazione della Gendarmerie.

Di origine italiana, si era ben presto adeguato ai ritmi lavorativi piuttosto blandi che il luogo imponeva, nonostante non fosse certo entusiasta dell’ambiente che lo circondava. In quasi quindici anni di servizio l’episodio più impegnativo che ricordava era quando lui ed il suo precedente collega, da due anni sostituito da quello attuale, si trovarono in alta montagna a mantenere dei paletti durante gli scavi a seguito di una valanga. Non fece nulla di straordinario nemmeno in quell’occasione, ma vedere il gran movimento di elicotteri e soccorsi gli fecero credere d’esser stato utile alla causa.
Trascorreva la maggior parte della giornata nei bar, con la scusa di tenere sotto controllo i forestieri. Anni prima quando in uno degli hotel di Valloire degli incauti ragazzi inglesi, ovviamente ubriachi, molestarono gli avventori dell’albergo, non si preoccupò minimamente di intervenire salvo poi scoprire che uno dei britannici, dopo aver ricevuto un dritto sulla tempia da parte di uno spazientito montanaro locale, era finito all’ospedale in coma ad un passo dalla morte.

Nessuno aveva visto niente e lui certificò che si era trattato di un incidente; non dopo aver convinto il gruppo di inglesi a ritirare la denuncia e far cadere così ogni accusa anche nei loro confronti.

Insomma, un lavamani.

Ora che un cadavere giaceva abbandonato nel bosco, fatto eccezionale per Valloire e che avrebbe sicuramente procurato delle indagini insolite, sarebbe stato il colmo per il capo della Gendarmerie non poterne essere parte come investigatore in quanto protagonista della scena.

Era lui il morto sepolto dalla neve nel bosco?

Di chi è quel corpo?

I Racconti d’estate: Il Barbiere di Patrasso

Per il periodo estivo e non solo dato che sul blog i post rimangono accessibili ad ogni stagione, potrete fare letture di brevi racconti con comun denominatore un salone da barbiere. Tanto per non perdere l’abitudine ai viaggi, ad ogni storia cambierà il luogo d’ambientazione e di conseguenza la nazionalità del barbiere di turno. Solo il cliente sarà lo stesso ed è lui a scrivere ciò che state leggendo…

Tra intrecci noir e grotteschi, tra invenzione e realtà, non vi rimane altro che incominciare la lettura…

 

IL BARBIERE DI PATRASSO

Ci sono diversi modi per affrontare la vita, tra questi non decidere di risolvere gli eventi e farsi trasportare dagli stessi o viceversa dare un senso anche alle cose meno simpatiche.

Tra le varie disdicevoli ricorrenze naturali, forse la più trascurabile, per molti addirittura non più esistente, c’è la ricrescita dei capelli.

Chi per svariati motivi è spesso lontano da casa ed è incapace di utilizzare le infernali macchinette tosatrici si ritrova obbligato a rivolgersi di volta in volta a barbieri sconosciuti che, non è un esagerazione, dal momento in cui prendono le forbici al taglio della prima ciocca, suscitano sempre sudori freddi.

Per sdrammatizzare quel fatidico momento generalmente si incominciano delle conversazioni basate su banalità tra domande e risposte viziate da incomprensioni e timori. Spesso è il barbiere che intavola il discorso…

A Patrasso ero appena sbarcato dopo ore di noiosissimo viaggio su uno dei tanti enormi traghetti che fa spola dall’Italia alla Grecia. Le ore di strada che mi separavano al porto del Pireo ad Atene erano nulla rispetto a quelle che avrei dovuto aspettare prima di imbarcare nuovamente la macchina per raggiungere l’isola di destinazione. Sarà stato il caldo o la stanchezza ma avere il capello leggermente fuori misura e disordinato mi fece optare al taglio seduta stante. La ricerca del barbiere a Patrasso non fu così difficile vista l’ora pranzo in cui l’unica bottega con la porta aperta ed apparentemente disponibile pareva essere quella di un signore piuttosto anziano. Indossava un grembiule stile anni sessanta e teneva i capelli bianchi imbrillantinati e solcati da un pettine a denti larghi. Questo signore era di carnagione scura, abbastanza minuto, con il viso un po’ scafato, il naso aquilino; tipico greco, pensai. Probabilmente aveva da poco terminato di servire un cliente dato che armeggiava la scopa per pulire i capelli residui sul pavimento. Mi fece accomodare sulla poltrona dopo avermi salutato in greco con un deciso e forte kalimera. Dopo avermi avvolto con un telo nylon bianco per evitare di riempire di peli gli indumenti che indossavo, diede qualche colpo deciso con il piede alla leva, mi posizionò alla giusta altezza e guardandomi allo specchio che oltre a me rifletteva una pompetta dell’acqua, altre forbici ed una pomata ordinatamente sistemati su di una mensola in legno piuttosto retrò mi chiese che taglio volessi. In greco. Capì ciò che mi disse ma non riuscì a rispondere nella sua lingua che pur parlicchiavo, facendogli però inequivocabilmente intendere la mia provenienza. “Ah, italiano” disse. Lui l’italiano lo parlava dato che aveva vissuto per molti anni in un paesino non ben definito di qualche regione che non capì bene.

Cominciò a raccontare in un italiano approssimativo e con forte accento greco stile “una fazza una razza” che per comodità trascriverò in modo corretto per facilitarne la lettura e la comprensione del senso “Sono stato per molti anni in Italia e la conosco bene. Ci andai da ragazzino, ero povero quella volta”.

-Non sembra ricco manco adesso, pensai maliziosamente

“I miei genitori erano molto poveri. Mio papà lavorava su una piccola barca di pescatori vicino ad Olympia, mentre mia mamma rimaneva a casa a cucinare ed a badare a me ed i miei dodici fratelli. Solo uno è rimasto vivo. Si è trasferito a Salonicco ed aveva dodici figli. Ma solo uno è rimasto vivo. Si è trasferito ad Atene. Mio nipote è sposato e sua moglie è incinta per la dodicesima volta.

Quegli anni erano duri, noi eravamo molto poveri. Aiutavo mio papà a districare le reti e fu proprio durante una di quelle giornate sotto il sole tra il groviglio di fili di cui non venivo a capo che decisi di prendere le forbici e tagliare tutto. Mio padre non la prese bene e per punizione mi chiuse in una cassa di legno per alcuni giorni. Purtroppo i soldi erano pochi e non riuscimmo a ripagare il danno fatto ai pescatori che davano lavoro a mio padre tanto che fummo costretti ad emigrare l’anno dopo. Quando uscì dalla cassa mi stropicciai gli occhi e vidi un paesaggio diverso da quello che ricordavo prima d’esserci entrato. La gente si spostava in groppa agli asini come in Grecia, c’era caldo come in Grecia, resti di templi abbandonati come in Grecia, ma la gente parlava in modo diverso, avevano una lupara a tracolla ed invece del caffè bevevano la granatina. Capì subito che eravamo in Germania. Mio papà trovò lavoro come pescatore anche là. Oltre alla cassa con me dentro probabilmente si era portato dietro anche il diploma da pescatore e quello che rimaneva delle reti che avevo tagliuzzato l’anno precedente. Purtroppo quell’annata non fu delle migliori, il pescato non abbondava ed a casa il cibo cominciava a scarseggiare. I miei dodici fratelli, che ci raggiunsero qualche mese più tardi assieme al mia povera mamma, lavoravano come muratori ed in un anno avevano costruito tre nuovi quartieri finché non venne detto loro che c’erano sei case libere per ogni abitante e sarebbe stato meglio prendersi una breve pausa prima che il paesello di S.Rocco Barbinaceo (quello si capiva…) fosse stato completamente sommerso dal cemento. Le ultime costruzioni che ricordo sono due enormi colonne di sostentamento ad un ponte, proprio in concomitanza con la sparizione di due miei fratelli.

Eravamo molto poveri”.

-Li lasci pure più lunghi sopra, grazie. Mi spiace per i fratelli. Proprio scomparsi?

“Decidemmo di tornare in Grecia, ci mancava.

Fui accolto da uno zio vicino a Salonicco, è da lì che incominciai il mio mestiere. Facevo il garzone nella sua bottega di barbiere…”

-A che età? …circa

“Avevo 25, 36 anni…

Mio zio era una persona molto importante nel paese. Da lui andavano a tagliarsi i capelli il sindaco, il prete ed il capo della polizia. Un giorno mi ricordo che sentì degli spari nel campo dietro alla Chiesa. Accorremmo subito a vedere quello che era successo. Ricordo che in quel preciso istante mio zio stava tagliando le basette proprio al capo della polizia che, sentito gli scoppi, si alzò dalla poltrona con un balzo, diede qualche sorso al caffè ed impugnando l’arma si precipitò ad accertarsi di cosa stava accadendo… Io ero terrorizzato al solo pensiero di quello che poteva essere successo ed infatti non mi sbagliavo. Nella nostra bottega girava voce che la moglie del falegname fosse uscita da sola sul terrazzo e nonostante l’assenza del marito, abbia rivolto lo sguardo al figlio del pastore che in quel momento stava pascolando le pecore. Il figlio del pastore era un bel ragazzo giovane e prestante. La domenica si faceva il bagno e partecipava alla cerimonia religiosa, persona per bene. Il falegname però, che stupido non era, si accorse di tutto e così quel giorno fece una pazzia.

Quando arrivammo sul posto era troppo tardi per fermarlo: gli scoppi che sentimmo erano usciti dallo scarico del furgoncino del falegname che, caricata la moglie e tutte le loro provviste, abbandonò il paese dalla vergogna. Riuscimmo a vedere solo la sagoma del malandato furgoncino azzurro che si allontanava inequivocabilmente in qualche posto lontano dove ricominciare la loro vita”.

  • Ah, pensavo ad un finale peggiore sinceramente…

“Oggi giorno i tempi sono cambiati. L’ultimo dei miei dodici figli mi è morto ammazzato da delinquenti l’anno scorso. Gli altri sono morti prima. Aveva solo 34 anni.”

  • Pure lui? Ma la sua famiglia non è molto fortunata mi pare di capire… Mi dispiace… Cosa gli è successo?

“Quella mattina ero sceso a lavorare come sempre. Avevo aperto bottega presto e mi ero messo a riordinare. I miei figli fortunatamente non sono nati in una famiglia povera come la mia; hanno trovato una casa, cibo e sono andati a scuola anche fino ai 13 anni. Tutti intelligenti, ma lui speciale. Mi aveva fatto capire, per dire quanto era intelligente, che se lui fosse venuto in bottega ad aiutarmi la gente avrebbe pensato che un giorno sarebbe potuto diventare più bravo di me, in seguito avrebbe aperto un suo salone ed io sarei rimasto senza lavoro perché tutti sarebbero andati da lui. Ma mio figlio, intelligente ed altruista, volle evitare questa situazione e così evitò di venire a lavorare in bottega sforzandosi di fare il mantenuto. Gli costava caro dormire fino alle prime ore del pomeriggio ed uscire la notte ad ubriacarsi con gli amici fino al mattino seguente e vedevo quanto era mortificato ogni volta che passava a trovarmi mentre ero al lavoro per chiedere delle dracme di sostentamento.”

  • Ma poi di cosa è morto?

“Una fine stupida, come la maggior parte delle volte che la morte viene a bussare. In modo stupido.

Quella mattina stavano trasferendo uno spazzaneve da Salonicco a Patrasso perché avevano previsto forti nevicate. Ma a Patrasso non nevica mai! Greci idioti!

Mio figlio dopo anni si era svegliato presto ed aveva deciso di andare a cercare un lavoro che non fosse il barbiere. Ho ancora in mente l’immagine che vedevo attraverso il lunotto del maggiolone: un bel ragazzo sorridente con i capelli lunghi neri e la barba incolta, maglietta rossa e con la sigaretta nella mano sinistra e bicchiere di Nescafé e cellulare nella destra mentre parla al telefono con probabilmente la sua ragazza. Come dimenticare il crocifisso che appeso allo specchietto ciondola riflettendo la sua immagine sui suoi occhiali scuri? Non l’avrei mai più rivisto.

Dicono che mentre guidava gli sia caduta della cenere nel caffè e così abbia provato a toglierla dal bicchiere con l’antenna del cellulare e che non si sia accorto che il pitagyros che aveva appoggiato vicino al cambio sia finito proprio sotto al pedale del freno. L’impatto con lo spazzaneve è stato fatale.

Ed a Patrasso non nevica mai”.

  • Che sfiga, vero… Bene, quanto le devo?

“30 euro”

  • Ah, pensavo meno…

“Eravamo poveri, molto poveri…”