Sequoia Park: L’incredibile storia degli alberi pensanti

La cima delle sequoie è annebbiata dalle nuvole che con lentezza si adagiano sulla montagna. La neve ha imbiancato il paesaggio ed attutisce i rumori esterni. Il passo felpato di un cerbiatto fa capolino alla base di uno degli alberi del parco. Cerca dell’erba da brucare. Alza la testa, rimane immobile per qualche secondo e poi scompare tra la vegetazione. Turisti curiosi si intrufolano tra i sentieri osservando le giganti piante nella loro infinita altezza. Lo sguardo segue il maestoso tronco di legno dai riflessi arancioni illuminato da raggi di sole che si fanno spazio tra i rami dell’albero ed i disegni delle nuvole. Un giovane arbusto alto appena ventiquattro metri chiede al suo vicino spiegazioni riguardanti il luogo dove si trovano ed il perché. In questi ultimi duecentotrenta anni sono numerose le volte che si è rivolto ai suoi vicini. Attorno al suo tronco piccoli individui colorati lasciano delle impercettibili impronte che nemmeno degnano la sua attenzione. Il tempo per lui che vivrà forse più di duemila anni scorre in modo proporzionato. Al solito, le risposte che riceve dai compagni del fitto bosco non cambiano. E’ una sequoia sua coetanea a prenderlo in considerazione. “Sempre le solite domande.
Ogni dieci, vent’anni te ne esci con queste curiosità” dice mentre il vento le smuove i rami come fossero enormi tentacoli. Non ha una voce. Gli alberi, si sa, non hanno bocca, orecchie, corde vocali e tutto ciò che è necessario per poter parlare o cantare. Le sequoie, come tutti gli esseri viventi, comunicano tra loro. Gli alberi di cui stiamo raccontando la storia, continuano “Queste domande sono difficili per noi. La risposta è laggiù, lo sai…” Il giovane non si scoraggia “Ormai è da qualche decina di anni che cerco di raggiungerlo ma non mi sente. Pensi che potrei…” La sequoia amica lo interrompe incitandolo “Certo, se davvero cerchi una risposta alle tue domande, l’unico che può aiutarti è il Generale Sherman.”
Il Generale è un albero piuttosto anziano che, dall’alto dei suoi circa duemilacinquecento anni, ha sempre una risposta pronta per tutti. E’ un po’ vanitoso e scorbutico vero, tant’è che nasconde la sua età esatta che nessuno conosce; leader infallibile quando ce ne stato il bisogno.
“Chissà se sei abbastanza alto da farti notare e sentire. Tra l’altro il Generale è anche un po’ sordo ultimamente. Tu provaci.”
La stagione potrebbe essere quella giusta visto il silenzio che regna tra la fitta vegetazione. Non circolano neanche tanti di quei fastidiosi puntini colorati che non si capisce bene per quale motivo si appiccicano alla base del mio tronco alla ricerca di improbabili abbracci. Pensò l’alberello.
“Generale, Generale mi sente? Generale mi sente?”
Si alternarono giornate di sole, pioggia, neve, vento e tempeste. Poi ancora sole e caldo torrido.
“Generale Sherman mi sente? Ho bisogno di chiederle una cosa!”
Stranamente, dopo soli quindici anni il Generale si degnò di dare ascolto al giovane albero.
“Mi hai chiamato giovanotto? In cosa posso esserti utile” sbofonchiò nel suo linguaggio la gigante sequoia.
“Quale onore! Mi stavo facendo alcune domande. Forse lei con tutta la sua saggezza dall’alto dei suoi ottantatre metri e dei suoi duemilacinquecento anni potrà darmi delle risposte…” Il Generale Sherman non gradì il fatto che venisse menzionata la sua presunta età “Chi ti dice che ho duemilacinquecento anni? Forse il mio aspetto tradisce una certa longevità? Poi ad essere precisi, sono alto 83,80 metri. Pensare che circa millenovecento anni fa ero il più piccolo della classe.”
“No assolutamente. Non era mia intenzione… Insomma, anzi… Il suo aspetto è meraviglioso. Anch’io magari un giorno potrò avere una massa come la sua…” Il Generale cominciò a spazientirsi “Massa come la mia? Intendi forse dire che la circonferenza di 31,30 metri mi appesantisce?”
La sequoia curiosa non sapeva più come uscirne. Passarono altri vent’anni poi continuò “Vede Generale mi chiedevo se poteva aiutarmi a capire il significato della vita. Qual’è il nostro scopo?”
Sherman non aveva risposte certe, come nessuno al mondo e non trapelò disagio nel dimostrarlo.
“Vedi giovanotto, non lo so qual’è il significato della nostra esistenza. Ti posso però garantire che in tutti questi anni, non tantissimi vero” ci tenne a sottolineare “ho visto succedere delle cose meravigliose. Questo mondo è strabiliante. Man mano che mi innalzo cambio la mia visione e le cose che appena nato mi sembravano invalicabili oggi faccio fatica a vederle laggiù in fondo” Quando il Generale Sherman raccontava le sue storie tutto il bosco si fermava a contemplarlo “Chissà giovane se ti sei accorto della presenza di quelle piccole bestiole che transitano tra di noi. Pensa che hanno la sfortuna di nascere, vivere e morire in un tempo così fulmineo. I cerbiatti, ad esempio, da quando abbiamo cominciato il nostro discorso, saranno scomparsi a migliaia. O gli uccelletti che ospitiamo da tempo immemore. Così fragili e passeggeri. Eppure sarebbe bastato che uno di quei cosi avesse mangiato il nostro seme o sradicato la prima radice che non esisterebbe il Generale Sherman o tutti noi alberi” Specificò “Che poi quando io ero ramoscello era da aver paura con le bestiacce che giravano. La vostra generazione è fortunata!”
La foresta rimase rapita dal discorso. Il giovane chiese lumi anche riguardo le piccole creature colorate che si muovevano attorno a loro. Le persone, le automobili.
“Ci siamo noi e ci sono queste minuscole cose che ci circondano. Ti dirò, questi frenetici idioti qualcosa stanno combinando perché in questi ultimi centocinquanta anni non è che si respira la stessa aria di prima; mi lasciano dubbioso anche le strisce grigie che si vedono qua è là e che fino a poco tempo fa non c’erano. Questi dove mettono mano combinano qualche disastro, ho già capito io…”
Al giovane albero rimase il dubbio iniziale. Solo il tempo avrebbe potuto donargli la saggezza per approfondire la sua curiosità ed avvicinarlo così alla verità.
Intanto nel bosco gli alberi apparentemente silenziosi continuavano a crescere e respirare. Nella praticità quotidiana continuavano ad essere l’indispensabile polmone del mondo.
Eppure, ne sono convinto, l’incredibile storia degli alberi pensanti è più vera di quanto si possa immaginare.
Vero Generale Sherman?
Anche un albero con il tronco così grande da non riuscire ad abbracciarlo ha inizio da un delicato germoglio.
(Proverbio cinese)
True colors in SriLanka. Le persone (Primo Capitolo di Tre)

Un contributo all’immaginario riguardante le nostre sognate destinazioni deriva spesso da informazioni commerciali che si focalizzano principalmente nella descrizione dei luoghi con immagini naturalistiche e storici richiami sacri ed architettonici. Il punto di partenza collettivo per individuare un luogo è un simbolo che ne aumenta esponenzialmente il prestigio. Spesso, se non sempre, si tralascia il fatto che dietro a delle bellissime opere c’è l’intelligenza, la volontà, la fatica, la genialità, la cultura di un popolo che altro non è, quest’ultimo, che un fitto intreccio di individui facenti parte della stessa comunità.
In Sri Lanka, complice il fatto che esiste sì un’importante ramificata simbologia ma nessuna opera colossale, concentrarsi sulle persone è forse l’unico viatico per capire le innumerevoli sfumature che offre l’isola all’appendice dell’India ed a poche miglia da uno dei paradisi terrestri conosciuto come Maldive.
Nei loro sguardi speranzosi i cingalesi usano gli occhi per guardare al futuro in modo diverso da ciò che hanno dovuto recentemente subire quando una guerra civile, fomentata da interessi economici di parte ma beffardamente camuffata da sentimento religioso, ha spazzato via centinaia di vite. Se queste recenti responsabilità vanno attribuite alla politica interna non si possono altrettanto assegnare loro quelle storiche dove, per l’ennesima volta, sono stati i colonizzatori inglesi a conquistare e sottomettere al proprio volere la popolazione indigena, modificando gli equilibri etnici locali.
Ritornando al presente, la prima cosa che salta agli occhi ad un occidentale è proprio l’aspro contrasto di diverse culture e civiltà; dalla nostra parte l’ormai palese sottomissione ad un sistema rivolto e monopolizzato all’equazione felicità-materia, dalla loro un resistente concettualismo buddista, felicità-spiritualità. Alla luce dei fatti se nel primo caso si assiste ad una smisurata produzione di stress quotidiano che attanaglia testa e stomaco dei progrediti europei, dall’altra regna la serenità e consapevolezza di un popolo che da l’impressione di essere estremamente pulito e concreto. Vengono accolte eventuali obiezioni riguardanti la serenità cingalese, ove la frenesia colpisce i centri più sviluppati economicamente e che inevitabilmente influiscono e modificano le tradizioni, anche in questo caso riconducibili al virus consumistico, embrionato e sviluppato nei paesi occidentali, che ne risulta la causa.
Fatto sta che in particolar modo nei luoghi ancora integri dagli attacchi commerciali e dal contagio del turismo di massa, resistono delle persone miti ed accoglienti che dietro a quella che per i canoni moderni può sembrare povertà è invece l’esatto opposto. I cingalesi hanno una ricchezza interiore tale da mettere a nudo e far arrossire persone avide e potenti che giorno dopo giorno aumentano il loro avere dilapidando l’essere a spese anche di popolazioni sfruttate perché diverse ed indifese. Difficile discostare il piglio filosofico da quello oggettivo perché la sensazione abituale durante il confronto con queste persone, che ci ha accompagnato durante tutto il viaggio, è sempre stato quello della ricerca di una serenità interiore e della comprensione altrui; anche e soprattutto nei piccoli gesti quotidiani rivolti alle altre persone, agli animali ed a tutte le forme di vita che vivono e nutrono il pianeta cui noi facciamo uso improprio ed esclusivo.
In Sri Lanka la presunzione d’essere individui prediletti è pressoché inesistente se non racchiusa nelle rispettate minoranze, comunità religiose induiste, musulmane e cattoliche. L’indole buona ed accogliente dei cingalesi, sia questa innata che derivante dalla filosofia buddista, permette al visitatore di muoversi praticamente ovunque senza l’ansia di prestare ossessiva attenzione alla propria incolumità.
Se in luoghi ad alto rischio l’umiltà, il rispetto ed un adeguato sorriso possono toglierci da situazioni particolarmente spiacevoli, che non è poco, in Sri Lanka saranno il nostro passaporto per concentrarci esclusivamente alle persone che ci circondano ed a tutti i benefici che esse comporteranno nella nostra vita; che è tantissimo.
Un viaggio concettuale sicuramente apparentemente meno profondo di quello che possono offrire i dirimpettai indiani ma che probabilmente non lascia troppo spazio a fraintendimenti radical chic ed a persone tendenti alla ricerca spirituale salvo poi limitarsi alla creazione di improvvisati altarini incensosi presso le loro taverne o folcloristiche quanto inutili reunion commemorative presso splendenti centri ayurvedici.