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Siena. Il campioncino

Il protagonista della storia nacque a Siena,

da una famiglia di umili commercianti, nei primi anni ’50, quando le leggende viventi Gino Bartali e Fausto Coppi erano al tramonto delle loro sfavillanti carriere. La forte passione di suo padre per il ciclismo rimase soffocata fino al suo concepimento che avvenne dopo diversi tentativi. Precedentemente e per ben nove volte, fu esposto un fiocco rosa sull’uscio di casa. A quell’epoca solo poche donne potevano concedersi il lusso di praticare dello sport, a maggior ragione le corse in bicicletta.

Non ancora in fasce il bambino venne alimentato con una borraccia di latta, cimelio ritrovato dai familiari durante una passeggiata primaverile nei campi attornianti la suggestiva città toscana. Si sosterrà in seguito che questo fu il motivo per il quale al bimbo i primi denti di latte spuntarono durante l’adolescenza.

Il piccolo campioncino crebbe ed all’età di sei anni cominciò a dividersi tra la scuola elementare e la piccola bottega d’ortofrutta di famiglia. Il padre sosteneva che solo con un duro allenamento suo figlio potesse diventare un ciclista alla stregua dei grandi campioni. Impose al bambino un duro programma di allenamento. Oltre al tempo impiegato allo studio ed al lavoro, avrebbe dovuto dedicare fino a dieci ore al giorno a pedalare. Ma il padre non tenne conto di un fattore non certo secondario: suo figlio era sprovvisto della bicicletta. Essere attorniato dalla madre e nove sorelle stava inoltre pregiudicando la sua mascolinità tant’è che alcuni amici di famiglia, molti anni a seguire, giureranno d’averlo visto per almeno due occasioni con in mano una bambolina di pezza. Particolare da non trascurare. Il primo velocipede gli fu regalato da uno zio falegname specializzato nella fabbricazione di casse da morto e che glielo costruì su misura. La gioia di disporre di un proprio mezzo di locomozione si trasformò ben presto in una sorte di lenta agonia: il padre gli impose fin da subito durissimi allenamenti. Oltre alle ore di fatica passate sulla bici ricavata da un tronco di faggio si aggiunse un ulteriore fattore che in un primo momento poteva sembrare trascurabile: anche la sella e le ruote erano fatte in legno. Queste ultime poi, erano quadrate. L’infanzia scolastica fu parecchio travagliata, vuoi per il poco tempo che poteva dedicare ai compiti, ritenuti perdita di tempo dal padre che in gioventù rimase deluso dal finale della storia della forza gravitazionale di Newton a tal punto da abbandonare gli studi in prima elementare, vuoi perché vittima del bullismo dei suoi compagni che lo prendevano in giro a causa della sua famiglia composta praticamente da sole donne. In realtà, come sembrerebbe dalle testimonianze avvenute molti anni a seguire da amici di famiglia, i suoi compagni di classe erano invidiosi della sua bicicletta più che dei suoi atteggiamenti sessuali equivoci. Con pazienza e dedizione infatti, il piccolo campioncino si era dedicato all’alleggerimento del mezzo, smussando con pialla e scalpello le parti eccedenti del telaio. Non solo: con ingegno ed innata maestria era riuscito a montare delle ruote circolari che gli permettevano di guadagnare parecchia velocità in più rispetto a quelle quadrate. Anche le vibrazioni sul manubrio erano notevolmente diminuite.

L’apice della sua tristezza si materializzò in una tempestosa  giornata autunnale quando al suonare della campanella di corsa all’uscita della scuola dinanzi ai suoi occhi si presentò l’episodio che lo segnerà per tutta la vita. Qualcuno, forse proprio uno dei suoi compagni di classe, incendiò la sua bicicletta. Il Preside sbrigò presto l’accaduto giustificandolo come l’opera di un fulmine, ma i dubbi sulla realtà dei fatti ancora oggi attanagliano i ricercatori. Moltissimi anni dopo da alcuni amici di famiglia trapelerà che sia stato proprio un suo compagno di classe a compiere quel gesto meschino.  Dopo aver appiccato l’incendio avrebbe commentato “Volevi la bici in carbonio? Intanto usa questa carbonizzata” In realtà fonti più autorevoli smentiscono categoricamente questa versione in quanto la prima apparizione delle bici con quel materiale avverrà solo alla fine degli anni ’80.

All’età di undici anni avvenne un’altra svolta nella sua vita quando, la sorella più grande, tornò a fare visita alla famiglia dopo un lungo esilio a Milano dove trovò lavoro come centralinista prima e come prostituta d’alto borgo in seguito. Raccontò al fratello che al nord circolavano biciclette di un metallo chiamato alluminio e con le ruote simili a quelle delle motociclette. Non solo, dalla tasca della pelliccia estrasse anche una foto di un ciclista professionista a bordo di quel mezzo così tecnologicamente avanzato. Il ragazzo alla sola vista ebbe un sussulto. Sua sorella glielo lesse negli occhi ed amorevolmente lo consigliò di intraprendere una professione che gli avrebbe consentito un tenore di vita tale da potersi concedere un mezzo simile. Il fratello ringraziò per il prezioso consiglio ma in un primo momento rifiutò di prostituirsi.

Il tempo passava e finalmente si presentò per lui l’occasione di far parte di una squadra di ciclismo. Narra la leggenda infatti che un giorno non ben precisato, si presentò nella bottega direttamente dalla lontana Torino un signore distinto alla ricerca di nuovi talenti da iniziare allo sport agonistico. Ormai le voci sulle capacità del giovane circolavano insistenti non solo in città, ma in tutta la regione. Piano piano erano sconfinate sul territorio nazionale fino a sibilare nelle orecchie dei più attenti commissari tecnici delle varie squadre. Il sogno si stava avverando. Con la maturità fisica cominciarono ad arrivare le prime soddisfazioni sportive, in ambito scolastico grazie a quella mentale. Con l’offerta di prendere parte della squadra ciclistica allora chiamata Fratelli Bondi Parrucchieri già Campioni del Mondo, il padre lo mise davanti ad una scelta. Le risorse non erano molte e la lattuga era rincarata. Sette delle sue nove sorelle avevano scelto di chiudersi in un convento, la già citata si era data alla prostituzione  mentre l’ultima rimanente era rimasta a dare un aiuto in bottega. La scelta da prendere fu tra continuare con il ciclismo, frequentare l’Università, portare avanti l’attività familiare o prostituirsi.

La decisione fu coraggiosa: tranne la prostituzione decise di coltivare tutte queste opportunità ed anche il campo di patate a cui il padre dovette rinunciare per problemi alla schiena. Non solo: vinse addirittura una borsa di studio che gli spalancò le porte dell’Università di Bologna.

Gli anni a seguire furono intensi e dispendiosi in termine di fatica: la mattina all’alba dopo una sommaria lavata della faccia si dedicava a scaricare con celerità i camion di frutta e verdura. Terminato il lavoro montava in sella alla sua bici cromata in comodato d’uso grazie alla Fratelli Bondi Parrucchieri già Campioni del Mondo ed a tutta velocità da Siena partiva alla volta di Bologna per presenziare alle lezioni del dottorato dell’Università in prima mattinata. Saltava il pranzo per non perdere tempo e ripartiva quindi alla volta di Torino dove nel pomeriggio si svolgevano gli allenamenti allievi della squadra Fratelli Bondi Parrucchieri già Campioni del Mondo. La sera, prima di rientrare a casa a Siena, passava a trovare la sorella a Milano che nel frattempo si era completamente inserita nella comunità tanto da fare un uso costante di cocaina. Molti anni dopo alcuni amici di famiglia sosterranno che anche lui fu costretto a far uso di qualche sostanza per poter sostenere i frenetici ritmi quotidiani, ma i ricercatori smentiranno queste tesi in quanto dalle foto risalenti all’epoca incriminata non si nota alcun buco sull’avanbraccio sinistro dell’atleta.

La notte a Siena, anziché godere del meritato riposo, si dedicava alla raccolta delle patate. Dormiva una mezz’oretta al mese. Le preoccupazioni però spesso gli toglievano anche quel momento di relax facendolo girare e rigirare nel letto.

Le fatiche si fecero sempre più insostenibili fino a quando a metà anni ’60 in un caldo pomeriggio di Giugno durante gli allenamenti con la Fratelli Bondi Parrucchieri già Campioni del Mondo ebbe un mancamento e cadde a terra rimanendo senza sensi per alcune ore. Si risvegliò all’ospedale solo un mese dopo attorniato dai suoi genitori, le sue sorelle, i compagni di squadra e gli amici di famiglia che solo molto anni dopo sveleranno che la stanza dell’ospedale era molto capiente. La diagnosi che fece il medico curante non lascò spazio a dubbi: lo svenimento era dovuto all’allergia dei pollini. In seguito però il caso fu studiato anche da ricercatori di diverse Università d’oltre Oceano e tra le ipotesi che più contrastano il verdetto del dottore spuntarono possibili fattori di stanchezza. Non si saprà mai con esattezza.

Durante la sua permanenza in ospedale avvenne una concomitanza terribile: sua madre infatti scomparve a causa di una malattia incurabile. Stranamente la sua reazione non fu catastrofica, probabilmente perché in questa storia la sua genitrice non viene mai menzionata per faccende rilevanti. D’altronde all’epoca ogni decisione spettava al padre che, pochi mesi dopo, lasciò anche lui il mondo terreno per un infarto occorsogli durante lo scarico di un bilico di cocomeri. Agonizzante sul letto, come testimonieranno molti anni dopo amici di famiglia, avrebbe pronunciato le seguenti parole “Dov’è la matita che tenevo sull’orecchio?”

Il campioncino ormai ventenne e ad un passo dal firmare un contratto con una squadra professionistica di ciclismo rimase molto scosso dalla vicenda tant’è che non solo rifiutò il passaggio nel mondo del professionismo, ma non salì mai più su una bicicletta per il resto della sua vita. L’epilogo non fu glorioso in quanto decise dedicarsi anima e corpo alla prostituzione grazie agli aiuti di sua sorella molto inserita nell’ambiente. Solamente negli anni a seguire alcuni amici di famiglia riveleranno che avrebbe dichiarato che dopo tutti quei chilometri percorsi sul sellino anche il lato più impegnativo del suo nuovo lavoro era meno doloroso.

Del campioncino non si ebbero più notizie certe e si persero le tracce. Ancora oggi circolano voci che ipotizzano la sua scelta di cambiare sesso, anche per svariate volte.

Gli ex amici di famiglia intanto sono alle prese con alcune denunce per diffamazione inspiegabilmente esposte da una vecchia transessuale brasiliana che abita a Milano ma di cui si ignora ogni collegamento.

“La bicicletta è stata, per la donna, subito accessibile, senza divieti, senza remore di puritanesimo, senza scomuniche.”
Adriano De Zan

Los Angeles. Il cadavere di Santa Monica ep.3

L’ultima delle ipotesi riguarda un uomo molto ricco che ama fare acquisti nei negozi della Rodeo Drive. Una delle vetrine lo specchia con indosso una giacca gialla dai profili luccicanti e dei pantaloni blu a zampa di elefante. Anche la camicia bordeaux ha lo stile retrò. Porta un paio di occhiali da sole con lenti ovali arancioni, grandi ed avvolgenti.  Nonostante l’età avanzata in testa ha praticamente tutti i capelli che sistema periodicamente dal parrucchiere dei vip a Los Angeles. Proprio in quel rinomato salone ha incontrato colui che è diventato il suo compagno attuale. Un ragazzo di mezza età, di origine cubana, con un passato abbastanza oscuro. Pochi si chiedono come sia giunto a frequentare gli ambienti di lusso viste le umili origini. In realtà qualche malalingua sospetta che abbia concesso il proprio corpo a gente facoltosa pur di sistemarsi definitivamente a Beverly Hills. Fatto sta che l’incontro tra i due era stato subito proficuo. Un appuntamento al ristorante, una cena romantica, parole e sorrisi, la complicità davanti ad una bottiglia di vino pregiato francese, uno sfioramento delle mani e poi il fine serata nella villa ad Hollywood. Fondamentalmente quello era stato l’inizio di una storia che sigillava il passato dei due. Si godevano i loro momenti fatti di shopping, bagni rinfrescanti nella piscina di casa, massaggi e regalini reciproci. Poi c’erano le partecipazioni alle cene in cui capitava spesso di incrociare i calici con personaggi affermati o starlet dell’alta società californiana. I rapporti con le famiglie erano nulli per quanto riguarda l’uomo dalla giacca gialla e ridotti all’osso per il ragazzo cubano. Nel primo caso il motivo era dovuto al fatto che i suoi due fratelli non avevano mai accettato il rapporto che intercorreva tra lui ed il cubano che accusavano di opportunismo; da parte di quest’ultimo le tracce della famiglia si erano sbiadite con il passare degli anni e della lontananza. Un mix di invidia, gelosia e risentimento che li avevano condannati al loro esilio dorato ma a cui loro non davano alcun peso.

L’ambientamento dalla ricchezza alla povertà è un dato che cambia notevolmente se invertiamo i fattori. Il rischio di dimenticare le proprie origini è inoltre una delle cause più frequenti di chi si ritrova benestante dal oggi al domani. Il ragazzo cubano aveva rimosso la sua fervida partecipazione ai discorsi politici che lo distinguevano da adolescente; il pathos che lo faceva litigare per difendere a spada tratta le sue idee. Da ragazzino sognava di sfidare verbalmente qualche politico di grosso calibro, quelli che hanno i fili mossi dalle enormi multinazionali, per capirci. Mai si sarebbe immaginato di condividere un banchetto assieme a loro in qualche lussuosa villa. Frequentandoli non solo ha dimenticato il suo passato ma si è anche adeguato al loro presente che è fatto di scambi di parole ponderate e di cortesia, di finta ammirazione, di baciamani e scatole infiocchettate; macchine prestigiose che riempiono i viali delle case sulle colline californiane o mogli avvenenti con il corpo in visita ufficiale insieme al marito affermato e la mente in braccio all’amante surfista. Forse tutti questi artifizi gli hanno spinti per un pomeriggio a fare qualcosa di diverso. Ritagliare un po’ di tempo esclusivamente per loro. La radio della Bentley spesso viene  mutata dalle loro battute seguite da grasse risate. Prendono in giro i conoscenti creando delle simpatiche caricature ed enfatizzando quelli che le vittime pensano essere grandi pregi. La macchina si sta dirigendo verso Santa Monica. Il buonumore li segue anche quando devono parcheggiare la macchina sulla sabbia in mezzo alle decine di altre autovetture popolari. Attraversano il molo passeggiando e guardandosi in giro mentre delle nuvole avanzano gonfie, scure e minacciose verso di loro. Non trascorre troppo tempo da quando le prime gocce d’acqua cominciano ad inumidire la passerella e le persone che ci camminano sopra. Decidono di ripararsi e di acquistare due bevande gassate sentendosi di nuovo ragazzini. L’alternanza della pioggia permette loro di arrivare fino alla fine del pontile e guardare l’Oceano che si sta agitando minaccioso. Lo fissano pensierosi. Di tanto in tanto bevono dalle loro bottiglie di vetro attaccandosi al passato. Entrambi da ragazzini erano stati poveri. Invecchiando si capisce che per quanti soldi uno possa avere niente può ridare la giovinezza andata. Se lo ricordano a vicenda.

Tra questo turbinio di gioie, malinconie e temporali si presenta nella storia un apparentemente inutile insetto. E’ un ape che attratta dallo zucchero della bevanda si infila dritta nella bottiglia dell’uomo descritto all’inizio con la giacca gialla che tra i due, destino vuole, è allergico proprio al veleno di questi preziosi insetti. Avvicina la bottiglia, un sorso, una puntura in bocca. Poi un angiodema che occlude le vie respiratorie… Il resto è un assurdo agonizzare fino alla perdita della coscienza e la conseguente morte.

Questa è anche la descrizione che il ragazzo cubano fornisce agli inquirenti che, richiuso il cadavere nel sacco, lo catalogano come un decesso per anafilassi.

 

 

 

La Maratona di Los Angeles

Avranno mille difetti, tralasciando il delicato aspetto politico, ma bisogna riconoscere che nell’organizzazione eventi gli americani sono particolarmente capaci.

La maratona di Los Angeles, che chiaramente non fa parte delle sei major (Tokyo, Boston, Londra, Berlino, Chicago e New York) a dirla tutto non ha un impianto organizzativo infallibile però grazie alla cornice hollywoodiana ed ovviamente ad una importante partecipazione atleti/pubblico è molto divertente.

I giorni precedenti alla gara il ritiro del pettorale avviene al Los Angeles Convention Center situato sulla Figueroa St dove a poche centinaia di metri si trova lo Staples Center, palazzo dello sport che tra le varie ospita le franchigie NBA Lakers e Clippers. Inevitabilmente ci aspettano numerosi stand con interessanti e svariate proposte per sportivi e non. Certo, dimensioni e varietà non sono paragonabili a ciò che si può trovare a NY ma gli ingredienti per perdersi tra le proposte commerciali, spesso camuffate da divertenti giochi, ci sono tutti. Quindi il maratoneta una volta ritirato il pettorale e con la sacca piena di gadget, rimane in attesa del suo giorno.

La partenza avviene presso il Dodger Stadium, tempio del baseball. Per raggiungerlo assolutamente consigliati i mezzi pubblici riservati ai partecipanti perché altrimenti si rischia di rimanere incolonnati sulla highway dove, tra l’altro, viene chiusa l’uscita principale che da accesso diretto allo stadio. Fa freddo ed il rimedio è immergersi nel fiume di partenti dove centinaia di corpi emanano il calore necessario ad alzare un po’ la temperatura. Non per altro, ma nell’immaginario collettivo in California fa sempre caldo… Così non è specie nelle albe di marzo.

Nota negativa dell’organizzazione: se non si arriva con un certo anticipo al nastro di partenza ci si può scordare il proprio wave. Infatti, a differenza di Siviglia o Barcellona ad esempio, non ci sono ingressi laterali paralleli alla corsia di partenza così che si è costretti a fare la fila che, ovviamente, ad una certa diventa invalicabile. Partire con i più lenti (rispetto ai miei tempi) mi ha parecchio penalizzato perché ho dovuto attendere 1/2K prima di cominciare a correre decentemente. Già che ci sono: non è una gara dove cercare il personal best. A cominciare dal Dodger Stadium  e zone limitrofe non mancano le salite per quello che si rivelerà un percorso piuttosto impegnativo in tal senso. E’ sicuramente interessante correre anche tra i quartieri meno ricchi della città per poi ritrovarsi nella zona più turistica, come la Walk o Fame, il Chinese Theatre a Hollywood, per poi toccare il lusso sfrenato di Beverly Hills. Diciamo che per scoprire da cima a fondo una città la maratona è un ottimo mezzo. Un po’ faticoso certo, ma non lascia nulla di inesplorato.

Come anticipato la partecipazione del pubblico non è sensazionale ma importante ed anche questo, come sostengo sempre, è di grande aiuto. Si fa particolarmente vivace e fragorosa negli ultimi chilometri quando, come un miraggio di dune nel deserto, compaiono le ultime impegnative salite che ci dividono dal traguardo situato nella caratteristica cornice di Santa Monica. Si recuperano le ultime forze tra giovanissimi studenti intenti a distribuire bevande, gruppi rock e multicolorate cheerleaders in attesa di veder comparire l’arrivo. Per ovvi motivi di sicurezza anche la linea del traguardo è particolarmente controllata e non è facile per parenti amici avvicinarsi o raggiungere la persona che si sta aspettando.

Finita la gara ed indossata l’ennesima medaglia, che chiaramente è molto piacevole e curata nell’aspetto, non rimane che recarsi al Santa Monica Pier, famoso molo dove termina anche la Route 66 e dove ci aspettano birre e cibo per tutti i gusti e tutte le tasche.

Ulteriore demerito organizzativo il rilevamento dei tempi ufficiali che per una giornata mi ha quasi fatto credere di aver stabilito il mio personal che, tra l’altro, sarebbe stato utile per la qualifica alla maratona di Boston.  Naturalmente andava in netto contrasto con quello registrato dal mio cronometro che, per quanto possa essere approssimativa l’esattezza nel farlo scattare alla partenza e stopparlo all’arrivo non può certo sgarare di nove minuti. Ovviamente il tempo ufficiale strepitoso si è dimostrato un erroraccio quando già festeggiavo sui social la qualificazione per Boston appunto.

Morale della favola a mio avviso la maratona di Los Angeles è più orientata alla celebrazione festaiola dello sport piuttosto che all’agonismo duro e puro. Il percorso, come detto, non attrae più di tanto i top runner che preferiscono concentrarsi su altre gare ma questa non è una critica negativa, anzi. In questa maratona emerge ancora di più il lato umano delle persone più semplici con le loro svariate motivazioni che, non solo agonistiche o economiche appunto, popolano per un giorno tutte le strade di LA. Ad esempio mi viene in mente un massiccio ragazzo di colore che ho avuto a fianco per qualche centinaio di metri che ripeteva ad alta voce a se stesso ininterrottamente “You can, you can, do it, you can”. Non so se avevamo superato il 5K e chissà se avrà continuato ad automotivarsi per tutti i restanti 37K. Oppure due ragazze visibilmente fuori forma che alla mezza mi hanno superato con nonchalance ad un ritmo vertiginoso tanto da farmi sentire una completa nullità. Giuro. Dopo un po’ le ho ritrovate che camminavano sfatte; intanto fino al 21K hanno davvero corso veloci nonostante la loro stazza.

Piccole storie che Hollywood, come sempre, riesce a rendere grandi.

Tutti abbiamo delle motivazioni. La differenza tra gli individui sta nella loro capacità di farle durare a lungo nonostante ostacoli,difficoltà e problemi. La capacità di perseverare, di far durare a lungo la motivazione viene detta resilienza.

Pietro Trabucchi

Moto che passione. Mugello.

novembre 14b

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La giusta location per ambientare una storia di passione e motori non può che essere una porta di garage aperta ed uno sparuto gruppo di ragazzini con la maglietta macchiata d’olio che smontano, modificano, rimontano pezzi di motorini che non riescono a mantenere intatte le loro sembianze originali per più di qualche giorno. Tra una martellata e l’altra tanti sorrisi, qualche brugola che cade, accenni di imprecazione in dialetto romagnolo, una passata del braccio a spargere fuliggine di scarico e sudore sul viso e poi ancora in sella a sgasare e testare i mezzi. Le cose che ci fanno innamorare di un pilota non sono l’intervista, la villa, l’auto lussuosa o lo yacht ormeggiato a Montecarlo; è lo sguardo deciso e l’eterna sfida a dimostrare di avere la padronanza del mezzo, sia una Vespa o un go kart, una Porsche o una moto da cross, l’esser capaci di sfidare il tempo, di guardare negli occhi la propria donna e tradirla con il mezzo meccanico nel mentre fa l’occhiolino alla morte, spesso fortunatamente accantonandola, altre volte purtroppo abbracciandola. Le corse amplificano gli eventi della vita soffiandoli poi attorno attraverso il rombo del motore.

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Ingresso Autodromo del Mugello

Questo è quello che si respira al Mugello una domenica mattina come tante altre, senza riflettori delle tv e privi del passo cadenzato delle lunghe gambe delle ragazze ombrellino; la sola presenza di appassionati, quelli che hanno cominciato a smontare un Benelli in un garage di periferia, che a Natale non gradivano una felpa; piuttosto al freddo ma con i risparmi investiti in un silenziatore Polini montato sullo scarico.

DSC_0382Gente non completamente normale che ha trasformato la passione per i motori in uno stile di vita che coinvolge tutta la famiglia. Le moto che sfrecciano sul rettilineo non sono quelle di team ufficiali o frutto di sponsorizzazioni miliardarie; sono sudore e fatica, rinuncia e duro lavoro. Il venerdì sera non ci sono i meccanici a caricare le moto sul carrello, né gli chef a preparare il menù; spesso ci sono le compagne di questi centauri a tenere a bada, come al solito, la minuscola parte razionale di un mondo completamente strampalato, se visto dal di fuori. Madri che dal dover assistere i loro figli al cambio di pannolini si ritrovano a tirare su la zip di una tuta che lì vestirà eternamente. Difficile per la mamma spiegare ad upiccolon bambino che la moto del padre, anche se in gruppo, non combatte per la posizione ma contro il tempo; oggi non ci sono gare, solo prove. Meno difficile farlo divertire facendolo girare in sella ad una mini moto. Al resto della crescita ci penseranno fattori quali l’odore di gomme, olio e carburante che come feromoni diventeranno richiamo di vita per l’ignaro e predestinato fanciullo.

DSC_0377Questa in fondo è la passione italiana, il fascino che scaturisce dalla fantasia ed a volte improvvisazione, un’arte che si tramanda di generazione in generazione. Una domenica come tante altre è bello vedere che nel paddock a fianco della BMW Motorrad ufficiale ed in mezzo a decine di lucidi motorhome ed auto di grossa cilindrata con targa tedesca ci sia una porta di garage con all’interno un gruppo di ragazzini che smontano, modificano, a volte imprecano in romagnolo e rimontano pezzi di superbike. Apparentemente hanno i capelli brizzolati e qualche ruga in più in viso, ma racchiudono un cuore che batte forte e l’animo da ragazzaccio per bene.

Cose da garage.

(Dedicato a mio fratello)DSC_0378

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Puntata Zero. Grecia, Rodi. Hotel Ristorante Melenos a Lindos

Sito ufficiale: http://www.melenoslindos.com

Prezzo medio per persona bevande incluse: dai 50euro a salire.

Prenotazione consigliata

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Melenos a Lindos

Melenos a Lindos

 

Il ristorante che andremo a visitare virtualmente in questa “puntata” è il migliore in assoluto dell’isola di Rodi, a mio avviso naturalmente. Parliamo del piccolo e lussuoso hotel ristorante Melenos situato nella spettacolare cornice di Lindos che certamente contribuisce a rendere questo posto ancor più incantevole.

Posizione incantevole

Posizione incantevole

Personalmente ho avuto modo di cenarci in dolce compagnia e devo dire che tutte le componenti che rendono un posto d’alto livello erano al posto gusto.

Melenos si trova ai piedi dell’ultimo pezzo di una delle due salite che porta all’Acropoli e forse questo potrebbe essere l’unico mezzo punto a sfavore dato che non ci si può arrivare con i mezzi; questo particolare è più trascurabile per i pigri rispetto alle esigenze delle gentil signore che difficilmente si presenteranno in quel posto in jeans e scarpe da ginnastica bucate; fare il pezzetto di salita con le scarpe con tacco è impresa piuttosto ardua.

Se siete dei Daniele avrete la scusa di mettere le mani addosso alle vostre signorine per aiutarle a salire anche se, con lui, probabilmente vi fermereste alla trattoria italiana che si trova proprio prima della rampa.

Diciamo un genere leggermente diverso…

Arrivati presso il ristorante sarete accolti dal personale e probabilmente dal proprietario che parla italiano. (particolare fondamentale per gli italiani che ancora non han capito che la seconda guerra mondiale l’han vinta inglesi ed americani altrimenti in Europa si parlerebbe tedesco ed italiano e saremmo tutti biondi alti e con gli occhi azzurri) Potrete quindi accomodarvi ai tavoli presso l’incantevole terrazza che guarda il golfo di Lindos con le barche a vela e yacht ormeggiati al largo e con alle vostre spalle l’imponente acropoli circondato dalle famose mura medievali innalzate dall’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni che a Rodi tanto han costruito.

Atmosfera perfetta

Atmosfera perfetta

Tavoli curati con arredi bianchi candidi, luce soffusa dalle lanterne e dall’immancabile lume di candela, postazione per le bevande e per il vino che, una volta selezionato, vi sarà servito dopo il primo assaggio e consenso come da rituale. La professionalità del personale farà sì che possiate concentrarvi sul vostro commensale dato che una volta presa la comanda diventeranno discreti e presenti solo nei momenti necessari. Non dovrete nemmeno preoccuparvi di versare il vino nei bicchieri vuoti. Questo lo trovo fondamentale per poter dedicare tutta la vostra attenzione alla persona che avete difronte, sia questa una cena romantica che una cena d’affari.

Lume di lanterna e candela

Lume di lanterna e candela

Come al solito ricordo che al ristorante andiamo principalmente per mangiare ed anche in questo caso la missione di Melenos è compiuta: pietanze elaborate dai sapori genuini, delicate e molto curate nella presentazione. Rispettati i tempi nel servirle, i piatti sono impossibili da riprodurre anche per un cuoco amatoriale di buon livello;  si vede la mano del professionista e questo giustifica assolutamente quello che sarà il prezzo finale.

Nouvelle cousine

Nouvelle cousine

Personalmente ho optato al solito per la carne e, finalmente, la mia richiesta di cottura medium rare è stata rispettata, dato che abitualmente sembra essere sola una domanda di rito in seguito disattesa. Piatto delizioso con accostamenti mai provati prima. Eccellente anche il pesce (mi dissero), così come gli antipasti. Molto ampia anche la scelta dei vini e dolci che a detta di chi ha divorato la “mia” torta di compleanno, gentilmente offerta dal locale, sono squisiti (ricordo che non mangio pesce e dolci)

Carne o pesce l'alto livello non cambia...

Carne o pesce l’alto livello non cambia…

Certo alla fine di tutto bisogna aprire il portafoglio e qui riporto quanto ho scritto altrove riguardo lo stesso locale: all’ingresso non ho visto esposto nessun cartello Onlus né Caritas pertanto quando è arrivato il conto ho saldato senza rimorsi.

Insomma, nella mediocrità delle tante taverne e ristoranti che di tale nome vantano solo i prezzi, finalmente un luogo decisamente professionale ed esclusivo. (Renato)

Puntata Zero. Grecia, Symi. Prima Parte.

Lo yacht Eviva

Lo yacht Eviva

Mezzo utilizzato da Renato: Motor Yacht Ferretti, vel. max 32 kn, 2 motori 1000 HP, consumo 300 lt/h

Tempo impiegato: 1:07′

Contatti: http://www.evivacruiser.grinfo@evivacruiser.gr – 0030 6947 121746

Prezzo: dai 110,00 euro a testa a 150,00

A bordo dell'Eviva

A bordo dell’Eviva

Nel frattempo che continuiamo a cercare qualche produttore che capisca quello che stiamo proponendo, dato che Controviaggio nasce come idea per un format tv e non come blog (l’impresa pare ardua in un mondo di De Filippi e Grandi Fratelli), questa volta ci occupiamo di una destinazione davvero spettacolare: l’isola di Symi.

Questa meravigliosa isoletta che dista due ore circa di navigazione con un traghetto di linea è una meta imperdibile per chi è di passaggio o soggiorna a Rodi, isola che stiamo approfondendo.

Naturalmente i modi per raggiungere Symi variano da quelli dedicati alle masse (leggasi traghetto, traducasi Daniele) a quelli decisamente più comodi e veloci (leggasi yacht privato, traducasi io vado con quello).

Avviati i giusti contatti vengo letteralmente buttato giù dal letto alle 8:15 dove un mio caro amico mi conferma che il motoscafo salperà regolarmente alle ore 8:45 (eh?) dato che hanno raggiunto il numero minimo di partecipanti per effettuare questa escursione. La sera prima era stata cancellata.

Abituato ai ritmi del mio lavoro paragonabili ai tempi di reazione dei vigili del fuoco, salto dal letto, mi vesto e nel giro di 6 minuti mi ritrovo in sella ad una Yamaha XT 600 che dovrebbe agevolare la corsa verso il porto di Mandraki, a 30 minuti di tragitto (calcolo effettuato per persone dalla guida normale). Peccato che a 300 metri da casa la moto comincia a dare segnali poco confortanti spegnendosi continuamente a causa, mi diranno poi, della candela. Decido quindi di ritornare a casa, lasciare la Yamaha al suo destino e prendere la solita Mini Cooper S che alla fine mi porterà a destinazione in circa 14 minuti tenuto conto che bisogna fare più attenzione a passare con i semafori rossi rispetto alla moto. (Quando diventeremo format comparirà in sovraimpressione “è finzione non fatelo a casa”)

Yamaha XT600

Yamaha XT600

Il capitano si chiama Kastris e lo individuo subito su un lussuosissimo motoscafo. Con aria snob schivo una fila di turisti che attendono di salire su un barcone pericolante, che già mi vedo a bordo dello yacht… Peccato che alla domanda “Kirio Kastris?” (in greco “signor Kastris?”) mi sento rispondere da un distinto ometto “no Castrol, we have already done fuel” (“no Castrol, abbiamo già fatto carburante”). La barca non era la barca giusta.

Fortunatamente oltre al nome simile, anche la barca che sto cercando non è molto diversa e così in parte recupero la figura precedente. A bordo dell’Eviva vengo accolto dal signor Kastris appunto, che si rivelerà simpaticissimo ed il suo aiutante Manolis, assieme ad una guida parlante russo, una signorona con mano fasciata sempre russa e passeggeri… russi.

Si esce dal porto di Mandraki

Si esce dal porto di Mandraki

Partiamo e subito mi rendo conto che i sovietici, almeno la media della popolazione, non hanno gran confidenza con il mare: lo noto dal colorito color Dixan piatti di una signora che riparata all’interno della barca fissa una piantina sul tavolo come aspettasse diventi albero, da tre ragazzine che occupano subito la prua nel piano superiore con aria da dive inconsapevoli che da lì a poco in quella parte di barca sarebbero arrivati scroscianti getti d’acqua, da un bambino vomitante e da una famiglia con papà mister Bean muto, mamma muta e figlia adolescente assente, che guardavano la tv. O meglio… Sembravano guardassero la tv, ma la tv non c’era. Fissavano il vuoto come quando la cagnetta Laika nello spazio ha cominciato a rendersi conto di cosa le stava accadendo.

Laika nello spazio

Laika nello spazio

Il viaggio dura un’ora ed è abbastanza movimentato a causa del mare particolarmente agitato. A me non provoca fastidio anche se riuscire a bere il tè in quelle condizioni non risulta semplice.

Mentre i russi cercano di non subire troppo le ire di Nettuno, la nostra barca Eviva entra nel porto di Panormitis, dove è prevista la prima sosta. Davvero spettacolare questo porticciolo dai colori suggestivi e dall’aria tipicamente greca. Già qui si notano le prime differenze tra visitare il monastero di Panormitis in compagnia di una decina di persone rispetto ad un centinaio. (Capito produttori dove sta il giochino di Controviaggio? Due modi diversi di vivere le stesse cose…)

Porto di Panormitis

Porto di Panormitis

Il monastero dell’arcangelo Michele che, narra la leggenda, compare in sogno la prima notte a chi soggiorna a Symi, è davvero un gioiellino. Custodito dagli stessi monaci ormai da decenni offre al visitatore interessanti prospettive artistiche nonché, ovviamente, un forte richiamo religioso.

Panormitis. L'ingresso affaccia sul mare.

Panormitis. L’ingresso affaccia sul mare.

Numerose sono le icone presenti nella cappella centrale, ricca di affreschi molto ben conservati ed un quadro riguardante il “protagonista” che è l’arcangelo Michele appunto, con la sua spada a difesa degli inferi e dei diavoli che ci minacciano. Molte le offerte a lui dedicate, tra cui una katana che per un attimo penso di prendere e di utilizzare per abbattere qualche russo nella barca, ma la quiete circostante mi fa desistere. Quiete che termina da lì a poco con il traghetto di massa che comincia a suonare la sirena prima dell’ingresso nel porto come di consueto per ricevere in risposta il festoso benvenuto del monastero che  intona le campane. Le centinaia di turisti sbarcano ed invadono ogni angolo occupato dalle loro guide di ogni nazionalità, raccolgono i gatti, vengono graffiati dai gatti, si lamentano dei gatti, fanno foto ai gatti, discutono dello spread e le patate lesse mangiate in hotel.

Risalgo a bordo dell’Eviva dove assieme all’equipaggio prendiamo un po’ per il culo i nostri passeggeri a loro insaputa in attesa di riprendere il largo. (Renato)