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Mekong. Noi ed il fiume

Il Mekong attraversa impetuoso e scuro il vasto territorio asiatico partendo dall’altopiano tibetano, bagnando poi Cina, Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia ed infine il Vietnam.

Certo riesce improbabile descrivere a sole parole le emozioni che il fiume trasporta con sé. Sarebbe più adeguato trascriverle in uno spartito ove comporre una sonata; dove far esprimere orchestre e musicisti per replicare, forse comunque inappropriatamente, le tante sfumature di pulsante vita che giornalmente si anima tra le acque del Mekong.

1Un gigante sole infuocato si spegne nell’orizzonte di Cần Thơ, oscurando minuto dopo minuto il ponte che collega la città sulle sponde del Delta del Mekong a Vĩnh Long. Due piccole realtà che si affacciano sull’undicesimo corso d’acqua più lungo del mondo. L’imponente fiume dettò gli scambi commerciali fino alla comparsa delle prime autostrade che hanno modificato la vita quotidiana di molte persone. Il grigio ed innaturale cemento si prende carico delle migliaia di automezzi pesanti che trasportano i loro materiali tra nuvole di gasolio e la lenta levigazione di enormi pneumatici. La protagonista della nostra storia indossa il tipico copricapo chiamato dai vietnamiti nón lá; vive in una capanna di legno e lamiera, come tante, ai bordi del corso d’acqua. A condividere la casa con lei non ci sono più uomini, ma solo una foto in bianco e nero sbiadita che ritrae suo padre da giovane ed un’alta foto a colori stropicciata ai bordi in cui compare abbracciata a suo marito.

Nel cuore di tutte le notti si alza, mette sul fuoco qualcosa da mangiare e si prepara per la lunga giornata che dovrà affrontare.

A Cần Thơ intanto il laconico monumento dedicato al già leader Ho Chi Minh svolge il suo compito, focalizzare l’attenzione dei turisti sul glorioso e difficile passato vietnamita. Ma le statue rimangono inermi e passive dinanzi alla realtà che scorre inesorabile come il Mekong. Dal buio del fiume e tra le aiuole della passerella che lo costeggiano, fanno fugaci ma inquietanti comparse giganti ratti neri a caccia di cibo. Intorno ambiziose costruzioni moderne e luminose che attirano la curiosità dei turisti che inesorabili proseguono la ricerca del selfie.

DSC_7667La barca carica di merce della donna è già in navigazione da diversi minuti ed il sole compare timidamente; riesce difficile pensare sia la stessa stella che la sera precedente ha infuocato e dipinto d’arancio il cielo. Il silenzio viene scalfito dal progressivo crescendo dei motori delle imbarcazioni dirette al mercato.

Il fermento degli scambi commerciali è tenuto in vita dalla respirazione bocca a bocca praticata dai tour organizzati e da una generazione troppo compassata per aderire al cambiamento. Mentre anche lei si dirige al mercato è cullata dalle onde provocate da enormi natanti di rientro; questi nella notte hanno rifornito i piccoli grossisti. Ad accompagnarli nel tragitto le centinaia di industrie che sono spuntate come funghi negli ultimi vent’anni. Riversano indisturbate i loro liquami contenenti metalli pesanti ed arsenico nel Mekong trasformandolo in una trappola mortale per migliaia di esseri viventi tra cui l’uomo stesso.

2La barca della donna si affianca ad un barcone più grande del suo e cominciano le contrattazioni. Deve fare presto altrimenti non avrà tempo a sufficienza per sistemare al meglio il banco al mercato.

E’ tra quei banchi che pesci di ogni genere e tipo, rane, molluschi e crostacei si abbandonano inermi al loro ultimo respiro, pronti ad essere sacrificati in nome della culinaria.

4Al mercato di Cần Thơ non ci si preoccupa di vendere e cibarsi di cibo altamente inquinato così come nessuno fa cenno alla costruzione della diga idroelettrica in Cina che potrebbe sancire la definitiva chiusura del sipario del Mekong vietnamita e di tutti i suoi componenti che oggi a gran fatica lo compongono.

Il prezzo da pagare in nome dello sviluppo e della crescita è altissimo.

5Ma chissà quali sono i pensieri degli ultimi sopravvissuti della strage modernista e capitalista. Resistono oasi di silenzio, scanditi dalle pagaiate armoniose delle rematrici vietnamite che di quel luogo ne custodiscono il fascino. Inconsapevoli che l’essenzialità dei loro gesti è l’unica via d’uscita del finale già scritto.

Intanto ci facciamo trasportare convinti d’esser soli. Noi ed il fiume.

 

Guardare il fiume fatto di tempo e d’acqua
e ricordare che il tempo è un altro fiume.
Sapere che ci perdiamo come il fiume
e che passano i volti come l’acqua.
(Jorge Louis Borges)

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Il blog d’autore e le promesse per il 2018

Colui che ha tracciato un solco nel mio percorso di vita, ha deciso di rimettersi in viaggio.

Per lui che ne ha fatti davvero tanti, questo è senza ritorno.

I distacchi terreni sono duri da accettare per chi crede in qualcosa, figuriamoci per chi vuole per forza affrontare la realtà a muso duro, senza fantasiosi appigli cui aggrapparsi.

Mentre in aeroporto attendevo di salire sull’ennesimo volo del mese, il giorno in cui avrei di seguito appreso la brutta notizia, sono stato avvicinato da una persona che, semplifico scrivendo mandato dal caso, si guardava in giro. Sul retro della sua maglietta portava scritto Bad decisions make good stories.

L’atteggiamento di questo sconosciuto mi ricordava l’approccio delle spie quando devono recapitare dei messaggi senza farsi riconoscere. Almeno le dinamiche cinematografiche ce le descrivono così. Credessi in qualcosa di ultraterreno avrei pensato si trattasse di un angelo.

Sono convinto che l’immortalità spirituale si acquisisce riempiendo la vita di storie, esperienze vissute da raccontare. Ciò che non accade a chi preferisce la comodità del divano alla volottuosità del viaggio o ai perbenisti moralisti che condannano senza esitazioni l’irrequietezza interiore dei viveur da trincea.

Optare di percorrere il cammino della vita correndo, cosa che fanno questi ultimi, implica spesso decisioni last second; dover scegliere in pochi istanti l’uno anziché l’altro sentiero non sempre ti porta sulla strada giusta. Sbaglia chi un millesimo di quella strada la percorre a tentoni, figuriamoci gli altri. Eppure ogni errore, ogni momentanea deviazione dalla via maestra, le così dette bad decisions, sono opportunità di good stories, buone storie.

Ecco, tutte queste avventure sono la legna che alimenta la fiamma dell’immortalità, dello spirito. Vicino a certe persone ed ai loro racconti ci sentiamo al caldo, vicino a focolai ardenti di passioni, sentimento ed umanità. I guerrieri della vita durante le brevi pause amano raccontare le battaglie vissute davanti ad una tavola imbandita e del buon vino. L’intreccio delle avventure, amori, vittorie e sconfitte si aggrovigliano alle gambe di chi li ascolta come delle voraci piante rampicanti. Le senti arrivare fino in gola, stringerti forte, emozionarti. Fino a quando te ne liberi momentaneamente, ti rialzi e ti rimetti in marcia. Ti allontani dai guerrieri della vita con un semplice saluto ed il cuore che pulsa forte. Dentro la speranza di assimilare qualche antidoto per sconfiggere i veleni dell’esistenza.

L’intensità di queste emozioni si trasformano in leggende; da sfogliare una ad una come il religioso scorrere di un rosario. Da custodire gelosamente nella nostra memoria. Consapevoli che il tempo né deformerà la forma, magari esagerandola come un’opera restaurata con colori diversi dagli originali.

Gli uomini che le hanno vissute sono leggenda e la leggenda è immortale.

Ci sarebbe poco da aggiungere non fosse altro che prima di questo avvenimento avevo deciso di impostare queste promesse per il 2018 in modo completamente diverso e sicuramente meno impegnativo. Magari elencando statistiche o aneddoti da backstage.

L’ennesimo richiamo all’impotenza umana ha scritto il resto.

Tornando faticosamente a noi, la copertina raffigura lo skyline di due città che ho avuto modo di visitare solo a novembre, mese in cui ho cambiato dieci aerei e percorso migliaia di miglia.

Ho scattato altresì un migliaio di foto e parecchi minuti di girato che presto diventeranno una clip particolarmente corposa ed interessante. Dal mio punto di vista ovviamente.

Tutto questo materiale sarà spalmato nei mesi del 2018 e raccontato, come ormai di consuetudine, da personaggi di fantasia in storie cui sono sempre presenti spunti realistici e luoghi esistenti che ho personalemente visto e vissuto.

Come di consueto di tanto in tanto ci sarà spazio anche per la mia passione sportiva, con i resoconti delle maratone che ho corso qua e là.

Insomma ciò che non distrugge fortifica si dice…

Passate a trovarmi ogni tanto, vi aspetto qui…

 

Quando il mio corpo sarà cenere, il mio nome sarà leggenda.
(Jim Morrison)

Colonia. Cado giù

Buio pesto e silenzio.

Cado giù.

Il barile di latta in cui mi trovo continua la sua corsa verso il fondale del Reno.

Il rumore delle eliche delle chiatte che navigano il fiume penetrano l’involucro in cui sono forzatamente rannicchiato e si mischiano ai miei affannosi respiri che soffiano il mio terrore.

Più la morte si avvicina e più il tempo si dilata. I secondi diventano gommosi; si allungano senza mai spezzarsi. I minuti diventano eternità. Frame di vita che si accavallano come album di foto. Intanto il sangue confluisce verso gli organi vitali: il cuore, la testa, l’inguine. La sensazione corporea è pari ad uno shutlle sparato verso la luna; durante il tragitto si perdono pezzi e sul satellite atterra solo l’involucro principale.

Intanto tremo. Dal freddo. Dalla paura.

C’è da dire che come fine e proprio una fine del cazzo. Diciamocelo.

Un tonfo accompagna il mio rallentato atterraggio sull’alveo dove scorre il grande fiume. Fine della mia corsa.

Le saldature che stagnano il barile non fanno filtrare l’acqua ma nemmeno l’aria. Anche quella sta per finire. Il mio cervello è annebbiato, i miei ultimi lucidi pensieri stanno lasciando spazio ad evoluzioni surreali. Un altro modo magnificamente splendido che il corpo umano utilizza per proteggerci dalle sofferenze. Dalle torture. Dall’addio.

Nonostante l’assopimento e la paura, forse alimentato dalla rassegnazione, proietto le ultime immagini vissute a Colonia. Che poi a me la Germania ha sempre fatto cagare. Non ho manco mai avuto queste grande simpatie per i tedeschi. Lei però era bellissima. I suoi capelli scendevano sulla sua schiena come le onde bagnano le bianche sabbiose spiagge dei Caraibi; il suo sguardo profondo e scuro forse proprio come il fondale su cui mi sono adagiato poco o tanto tempo fa.

Con lei ho passato fugaci momenti a parlare sulle scalinate della Kennedy Ufer. Le mani che adesso nemmeno sento più mi erano servite ad accarezzarle il volto; le dita per sfiorarle le labbra rosse che rispetto alla pelle chiara sembravano così esageratamente dipinte. L’ultima sera non era finita benissimo. Avevo litigato con un tunisino, egiziano o robe simili. Ormai quello è territorio loro. Fumano il narghilè, mangiano, si ubriacano, lasciano immondizia ovunque. Sono quelle generazioni post adolescenziali ribelli figli di disgraziati migranti che nemmeno il rigore tedesco può educare. Poi loro non si sentono tedeschi e non vogliono esserlo. Giusto così. In fin dei conti anche gli italiani sono fieri di mantenere vive le loro radici ed identità. Ma identità o meno quello era proprio un’idiota.

Avevamo continuato parte della serata isolati tra la gente ed il vociare di una birreria a Deutz. I nostri bicchieri continuavano a riempirsi mentre i discorsi erano sempre più conditi da parole inappropriate e prive di senso. Ad ogni stupidaggine corrispondeva un abbraccio. Qualche bacio.

Eravamo usciti da là dentro frastornati dalla confusione e dall’afa; dopo qualche passo stavamo rimpiangendo le calde temperature della birreria ma apprezzavamo il silenzio che ci stava accompagnando verso il ponte Hohenzollern, il ponte ferroviario più famoso di Colonia che specialmente la sera offre uno scorcio spettacolare. Arrivando dalla nostra direzione il complesso architettonico metallico sembrava indicarci la Cattedrale di Colonia e lei sembra dire: sono qui, guardatemi. Come la persona con la quale stavo condividendo quel momento. La donna che stava rubando i miei sguardi da ciò che ci circondava. Per quanto magnifico fosse tutto il resto, io vedevo solo lei. Non mi accorsi nemmeno dei treni che stavano passando uno dietro l’altro e del loro rumore. Attraversando il ponte scherzammo sulle persone che avevano voluto lasciare un segno tangibile della loro unione attaccando un lucchetto alle barriere che separano le rotaie dalla pedonal-ciclabile. Chissà se il nostro sarebbe rimasto integro negli anni oppure no.

Non perdemmo altro tempo a fantasticare, perché tempo non ne avevamo.

Ci ritrovammo nella camera di un albergo a spogliarci, toccarci, guardarci, poi ancora toccarci. Ripetemmo per decine di volte il goffo gesto di fonderci l’uno all’altra, di unirci in un corpo solo, un’anima sola.

Mentre fuori i ragazzi ubriachi cantavano qualche stupida canzone tedesca e le luci colorate magnificavano la città.

Intanto mentre ti immagino, qui a Colonia, sto morendo.

Chi ama donna maritata, la sua vita tien prestata.
Proverbio

Tilos: laboratorio d’artisti

campanileAscoltare il silenzio senza timore, nell’epoca attuale risulta quasi impossibile. Per molti.

L’indigestione di informazioni, tra le tante inutili e fittizie, cui siamo sottoposti quotidianamente, inghiottite alla stregua delle oche da foie gras, altrettanto gonfiate a suon di mangimi sparati in gola da tubi poco cortesi, ci ha disabituato ad assaporare la libertà del nulla, la leggerezza dell’ascoltare senza dover giustificare o rendicontare. L’ossessionante condivisione del tutto, ci ha lasciato privi di apprezzare attimi in cui il vero tutto è rappresentato da momenti di niente apparente.

Introduzione decisamente importante e forse troppo pretenziosa per chi magari cerca solamente qualche spunto in più per visitare Tilos, penserà qualche lettore, ma necessaria a comprendere a fondo la spiritualità dell’isola greca; il turismo e tutto il ramificato folclore che ne consegue, lì, non ha piantato radice alcuna.

scaleAttraccati al porto principale di Livadia passano pochi secondi dalla piccola calorosa accoglienza ed adunanza dei vari albergatori mentre recuperano i loro ospiti al ritorno alla quiete. L’istantanea confusione si dissolve tra l’accelerata di qualche furgone e le conseguenti nuvolette di fumo presto scolorite tra l’azzurro del cielo. Come il botto finale ad indicare la fine dei fuochi d’artificio è il motore del traghetto a silenziarsi man mano che questo si perde all’orizzonte verso la sua prossima meta.

Ti ritrovi solo. A guardarti in giro.

I pochi noleggiatori di poche auto e pochissimi scooter aspettano, senza avvicinare o disturbare i nuovi arrivati che tanto, come le api attratte dal pistillo dei fiori prima o poi arriveranno a loro.

Grazie a questi mezzi comincia l’esplorazione di Tilos ed i suoi ampi spazi battuti da un sole incessante e raffiche di vento caldo che non attenuano di niente le temperature soffocanti.

rovineArrampicarsi su quelle che una volta erano mulattiere ed osservare l’isola dai punti più alti, in solitudine, già ci racconta molto sulla spiritualità del luogo. Così come l’antico villaggio abbandonato Mikrò Choriò dove trovano rifugio dal sole che picchia incessante sia le capre che qualche volenteroso signore intento a restaurare la Chiesa o qualche edificio che forse non accoglierà mai nessuno. Le strade sono deserte e la stazione di servizio è aperta solo mezza giornata. In caso di emergenza i supermercati del piccolo centro cittadino vendono carburante in tanica, impensabile ai giorni nostri.

Seguendo le viewsegnalazioni turistiche si raggiungono i luoghi indicati come più interessanti da visitare, tra cui il museo che ospita lo scheletro di un elefante nano; ma l’edificio è abbandonato a se stesso, chiuso ed in balia di qualche vandalo e tante capre che lo usano come riparo. Molte spiagge sono poco frequentate ed interessanti punti d’attracco di barche a vela di passaggio.

Un laboratorio d’artisti, ecco cosa potrebbe essere e cos’è forse a giudicare da qualche insegna affissa su case isolate. La misticità ed il silenzio di questa isola schiva e riservata rispetto alle sue rumorose ed iperattive sorelle più illustri, la rendono luogo perfettocampana per scultori intenti a modellare opere di creta con le mani mosse dai liberi pensieri e ed il fruscio del vento o scrittori che a Tilos concedono il corpo e la sua statica presenza, ma non la mente, fluttuante in chissà quale altro luogo o palcoscenico frutto della fantasia. Magari semplici accordi di un brano che un musicista donerà alla stessa comunità che mai potrebbe cogliere l’aspetto embrionale dell’arte, spesso fiorente nel nulla, entusiasta nel glorificarne l’aspetto finale, svilito in stanze affollate.

Oppure ispirazione di un poeta, osservatore del mare e dei pescatori, dei gabbiani e delle onde che giorno dopo giorno cullano il mistero di quel profondo blu, che come inchiostro non cambia la sostanza ma entusiasma con nuove forme.

Questi spicchi di mondo, in fin dei conti, sono loro stessi poesia.

 

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Cairo: Comode eredità e scomode verità

moscheaAl Cairo si respira metaforicamente un certo che di esoterico, più realisticamente polvere del deserto mischiata allo smog delle migliaia di mezzi approssimativi che in qualche modo ancora si muovono tra le sovraffollate vie del centro o in quelle trascurate di periferia.  Il rumore di clacson è tremendamente costante ed incessante con gli ingorghi che sono all’ordine del giorno a simboleggiare una città in balia di se stessa e dal bieco fatalismo che coltivano nelle moschee migliaia di egiziani abbandonati al loro essere da chi dovrebbe proteggerli e garantire un’istruzione. Il Cairo, come tutto l’Egitto, può contare su una comoda eredità che per anni le ha garantito un notevole flusso turistico simboleggiata dal lascito antico più grande ed invidiabile che si potrebbe ricevere dal passato, ossia le tre piramidi di Giza meravigliosamente matrioska cairotasorvegliate dalla Sfinge che i suoi cittadini giustamente vantano nel mondo intero ma che però mal custodiscono all’interno della propria terra. Non si può parlare di delusione una volta giunti al cospetto delle tre misteriose opere, ma nel constatare come l’abusivismo edile o semplicemente selvaggio abbia tragicamente coinvolto nel suo scempio il ragguardevole sito archeologico, l’amarezza ed un senso di frustrazione non possono che salire in gola.La totale indifferenza nel sporcare il mondo è forse la più penosa sopportazione che si deve assistere girovagando per la capitale dove un altro suo simbolo sacro, il fiume Nilo, viene sistematicamente utilizzato come scarica a cielo aperto prima e coperto poi, in quanto qualcuno ha ben pensato di cementificare una buona parte di ramificazione torrentizia che si snoda proprio ad arrivare al quartiere di Giza. Se i sacchetti di plastica un po’ ovunque volano spinti dal vento, rimanendo poi impigliati alle reti di contenimento delle nostre eterne Piramidi nel quartiere 6 ottobre, è il centro città, come la bella isola Gezira che sorge sul Nilo ed ospita il quartiere più ricco del Cairo Zamalek, ad offrire il volto più civilizzato della capitale. Quasi tutte le sedi delle Ambasciate e Consolati si trovano lì, tra le altre ville e palazzi che ospitano personaggi importanti nel mondo dell’economia e politico.nuova tangenzale

Passeggiare per il Cairo, specie per le donne europee, è sicuro ma non rassicurante; la qualità media dei servizi è raccapricciante anche in luoghi dove di norma dovrebbe essere d’obbligo un trattamento privilegiato. Al ristorante del Four Seasons ad esempio, bellissimo locale dai prezzi inarrivabili per l’egiziano medio, esistono difetti di forma ed errori madornali nel servizio a dir poco scolastici. L’imperfezione è l’etichetta Made in Egypt.

L’intento del post non è però quello di far nascere dubbi sulla visita o meno di una città che con tutti i suoi difetti è una tappa imperdibile nel percorso di vita del viaggiatore. La Moschea di Muhammad Alì, chiamata anche Moschea di Alabastro (foto in copertina), è una visita mozzafiato ed un avvicinamento al mondo musulmano che con tutte le sue contraddizioni troppo spesso viene frainteso o strumentalizzato da quello occidentale. Proprio durante le frizioni tra i musulmani e le altre dottrine a scomodarsi è l’Imam del Cairo che professa nel quartiere di Al Hazar, la Luminosa, dove fa bella mostra di sé l’Università dell’Islam Sunnita all’interno di Khan El Khalili con il suo turistico Suq e le recenti ristrutturazioni delle vie e dei vicoli circostanti che specialmente la sera con i giochi di luce lo rendono un luogo affascinante e magico. Così come il Parco di Al Hazar che si snoda nella collina sovrastante la città e che prima dell’intervento dello sceicco Karim Aga Khan IV che ha donato il sito alla comunità, altro non era che un cumulo di immondizia. Simbolicamente è forse questo il messaggio più utile e forte che si possa augurare al Cairo, di poter trasformare tutti i rifiuti in giardini e luminescenti corsi d’acqua.vacca

Purtroppo la forbice tra le reali esigenze della popolazione e le priorità degli attuali dirigenti politici è tale da non consentire previsioni molto rosee nel futuro prossimo. Queste poche decine d’anni passati costellati di errori, despotismi e distruzioni nulla sono al cospetto degli incredibili cimeli e reperti conservati anche al Museo Egizio del Cairo che ancora oggi ci mostrano una civiltà passata infinitamente superiore a quella attuale. Eppure il grande sapere degli indovini dell’epoca al soldo dei loro potenti Re e Regine mai avrebbero potuto leggere ed immaginare nel futuro che il lento sgretolamento della piramide di Sakkara, tra le più di quaranta esistenti, si sarebbe un giorno riflessa su una bottiglia di vetro dell’omonima birra, abbandonata in qualche anfratto del loro Sacro Nilo.

Correre a Bruxelles si può ma…

Gli appassionati della corsa, che annoverano tra le loro file sempre più persone, mantengono il costante desiderio di correre ogni qualvolta si presenti la possibilità o, qualora ci fosse qualche gara all’orizzonte, in occasione delle giornate indicate dal programma di allenamento. Se gli atleti professionisti dedicano la loro vita all’attività sportiva, non si può chiedere lo stesso a chi conduce un’esistenza considerata normale e che coltiva la sua passione cercando di farla coincidere anche con gli altri impegni, tra cui anche delle meritate gite fuori porta il fine settimana. I costi dei biglietti aerei delle compagnie low cost ormai hanno stravolto le abitudini di viaggio degli italiani che si spostano nelle varie capitali europee con estrema facilità. Qualcuno, come nel mio caso, cerca di unire il dilettevole all’ancor più dilettevole, ossia partecipando a manifestazioni podistiche in città scelte per la loro bellezza e mai visitate precedentemente. palazzo realeCosì nel bagaglio, oltre alla Nikon indispensabile per i produrre nuovi capitoli di Controviaggio, non manca il necessario per il running. Nel caso specifico di Bruxelles mi aspettavo molta più facilità nel poter svolgere i miei compitini in preparazione alla mezza maratona di Barcellona, ma la capitale belga che pur presenta numerose piste ciclabili in realtà mi ha lasciato un po’ deluso in tal senso. Risiedendo fortunatamente in un albergo del centro in Boulevard du Jardin Botanique (Metro Roger) la prima sgambata di 13K l’ho fatta seguendo la via medesima fino all’ingresso dell’Elisabethpark dove, tra l’altro, sorge la bellissima Basilica Nazionale del Sacro Cuore. Essendo il primo giorno di approdo nella metropoli fiamminga, non mi sono fidato di addentrarmi in quartieri o vie sconosciute visto il mio iniziale disorientamento e, non lo nascondo, ho faticato abbastanza a rilassarmi e godermi il mio training quotidiano a causa della noia nel completare brevi e ripetuti giri nel parco. runFortunatamente passati due giorni è stato invece più agevole e soddisfacente completare 18K che mi hanno visto arrivare dal solito punto di partenza all’Esplanade, ossia dove è situato l’Atomium. In questo secondo caso ho costeggiato il canale Zeekanaal Brussel-Schelde per poi salire al Parco Van Laken cui ho seguito una parte perimetrale. Essendo Bruxelles costruita su dei colli in stile Roma, il sali scendi è notevole pertanto le corse sono un interessante banco di prova. La delusione maggiore deriva invece dal fatto che le numerose piste ciclabili sono tempestate di semafori che regolarizzano il passaggio pedonale che, in teoria, non permettono di svolgere sessioni senza pause e che, lo sa bene chi corre, spezzano il ritmo. Personalmente mi son preso qualche rischio o semplicemente o allungato di qualche metro le strade per cercare di passare con il verde evitando insulti bilingui.

La pavimentazione non è sempre delle migliori a causa della scivolosità che ne deriva in seguito alle frequenti giornate uggiose, ma tutto sommato è abbastanza agevole. L’impressione è che gli abitanti del posto preferiscano lo jogging nei parchi piuttosto che il running e, specie nella zona del Parlamento Europeo nonché nel Warandepark che è il Parco situato difronte il Palazzo Reale, è frequente vedere molte persone più attente all’immagine che alla sostanza. Almeno l’impressione è quella.

Correre nei parchi, a meno che non siano decisamente enormi, suscitano in me l’effetto pesce in acquario ma talvolta è sempre meglio sgranchirsi le gambe tra prati ed alberi secolari che starsene sdraiati in qualche camera d’albergo.

Certo è che se tra le tante invenzioni qualcuno escogitasse una rete di tour guide runners, ovvero delle persone disposte a guidare in percorsi sicuri e divertenti turisti con la voglia di esplorare parte della città a loro sconosciuta correndo, sarebbe ben accolta da molti, il sottoscritto in primis.

Qualcuno disposto ad aiutarmi nel crearla?