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Palle di Natale

Come ogni anno arriva il Natale con tutte le sue palle.

Candidi fiocchi di neve imbiancano i paesaggi dopo aver danzato sulle note di centenarie canzoni.

Il suono di campanelle rimbalza tra le vie. Sulle porte delle case gli intrecciati addobbi con foglie di agrifoglio e nastrini danno il benvenuto agli ospiti.

I bambini credono nell’esistenza di tale Babbo Natale, un signore anziano sovrappeso e barbuto che con la sua slitta trainata dalle renne vola a velocità supersonica parcheggiando sui tetti di miliardi di case per poi calarsi nei camini per recapitare i doni cui è stata fatta richiesta scritta dai pargoli stessi e lette una ad una dagli elfi magazzinieri. Ci vuole molta fantasia per credere a questa storia, eppure è sempre attuale, specie ai giorni d’oggi con l’esistenza della multinazionale Amazon.

Gli adulti invece, persone mature, credono alla storia di un bambino nato per opera dello Spirito Santo e concepito dalla Vergine Maria, in cui breve vita camminerà sulle acque, resusciterà morti, guarirà malati con la sola imposizione delle mani, trasformerà bambini in maiali, moltiplicherà vino e pesci. Dopo la crocifissione e la morte seguente scomparirà misteriosamente dal sepolcro sorvegliato da angeli per ritornare nel Regno dei Cieli dal quale fu mandato per opera di suo padre, Dio in persona.  Storia sicuramente più realistica infatti è sempre attuale pure questa grazie all’esistenza della multinazionale Chiesa Cattolica.

Fatto sta che per alcuni giorni del mese di Dicembre, vuoi a causa del primo o del secondo motivo, la maggior parte dell’umanità, compresi i più grandi figli di puttana, sentirà la necessità di schierarsi dalla parte dei buoni. Gli sguardi delle persone sembreranno addolcite come una fetta di pandoro ricoperta dallo zucchero a velo; guarderemo con amorevole compassione ciò che fino a ieri snobbavamo oppure odiavamo con tutte le nostre forze.

Ma questo è tempo di palle di Natale. Ricoperti da pesanti maglioni di lana rossi e ricamati come da tradizione, pacchetti luccicanti sotto gli alberi addobbati, noci e scorze di mandarini sulle tavole imbandite, ci scambieremo auguri di serenità, brindisi e promesse di un mondo migliore.

Un mondo che possa dispensare felicità a partire dalla nostra, ovviamente. Una casa lussuosa, un lavoro autorevole ed una macchina ibrida ma grande. Non devono più esistere i senza tetto o persone che elemosinando distorcano la visione del mondo perfetto.

Multinazionali solidali operative anche nei giorni festivi.

Adeguata ricchezza e cultura in quei Paesi che ad oggi sopprimono le libertà degli individui costringendoli ad emigrare intasando così i nostri mari e coste con le loro sgradite presenze ed i loro puzzolenti cadaveri. Un domani di sole persone ricche e fashion in arrivo verso le nostre frontiere.

Un mondo di donne libere di vestire come meglio credono ma con le sole suore autorizzate a coprirsi il capo da un velo senza essere derise.

Poi finalmente un mondo dove non siano le big pharma con i loro vaccini a decidere la sopravvivenza di milioni di persone ma un ritorno ai prodotti naturali acquistabili su Amazon.

Baci, abbracci, stette di mano con il green pass in tasca e le famiglie Mulino Bianco che si riuniscono felici scambiandosi opinioni e sognando la Range Rover parcheggiata nel vialetto della luminosa ed essenziale villa di charme circondata da un bosco immacolato con sfuggenti sagome di maestosi cervi a movimentare la cornice idilliaca.

Spazi riservati alla bellezza in tutte le sue forme. Ce lo ricordano i social che la felicità è questa.

Per scaramanzia un pensiero ed addirittura qualche donazione a chi passa le giornate in ospedale si potrebbe anche fare. Visto poi che a Natale si è più buoni, anche donare la moneta del carrello ad un elemosinante diventerebbe fattibile. Anche se nero.

Pensare ai malati, disagiati, handicappati e tutto ciò che è diversamente fastidioso in queste giornate è doveroso, ma va fatto con cautela prima o dopo il pranzo, mai durante. Che bello immaginare un mondo dove poter buttare l’immondizia ai bordi delle strade e dopo qualche minuto qualcuno le raccoglierà, dove poter gettare la plastica nei fiumi, nei laghi, nei mari senza ammazzare nessun essere vivente o dove poter fumare ed urlare tra la gente senza provocare fastidio a nessuno.      

Il mondo perfetto dove finalmente sarò io nella posizione di ricevere centinaia di curricula ai quali non risponderò come nessuno rispondeva a me, perché io sono io e voi non siete un cazzo. In realtà a Natale avrei fatto uno strappo alla regola, ma non sarò in ufficio. Mi dispiaccio.

Ecco il favoloso mondo delle palle di Natale che tutti quanti desideriamo con tutte le nostre forze e che rende le nostre vite perennemente incomplete e sciatte.

Però non bisogna desistere proprio ora che ci aspetta un altro Natale, perché se con un po’ di fantasia o fede è possibile credere in Babbo Natale, Gesù Cristo o altri super eroi immaginari, perché non sperare che un giorno anche il nostro mondo ideale diventerà realtà?

Forza con le palle allora che Natale arriva!

– Bill: Sei licenziato.

– Sebastian: E’ Natale, Bill.

– Bill: Sì, li ho visti gli addobbi… e felice anno nuovo.

(La La Land, 2016)


Letto di sabbia

20210923_114815Mentre ti guardo aspetto.

Non so cosa, o meglio lo so perfettamente e non voglio pensarci.

Il tuo respiro è debole, le braccia distese ed immobili lungo il letto.

Ti vedo avvolta in lenzuola bianche, candide. Fastidiosamente profumate.

L’albero che vedo fuori dalla finestra si prepara ad affrontare un’altra torrida estate.

Si fa scuotere dal vento, muove la chioma e qualche foglia lo abbandona al suo viaggio.

Nel cortile alcune persone camminano con indifferenza.

Non posso far altro che starti accanto, seduto su questa sedia che cerca di essere la più scomoda possibile per deviare i miei pensieri.

20210923_122124Ho rivisto le immagini della nostra vita decine e decine di volte e non voglio cascarci ancora.

Per qualche minuto voglio liberarmi e liberarti dalle catene che ci legano a questa stanza asettica di cui siamo ospiti obbligati ed inermi.

Guardo i miei piedi e li immagino immersi nell’acqua trasparente. Mentre passeggio sul bagnasciuga di una spiaggia, immensa. Poi mi giro e ti cerco con lo sguardo.

Sei sdraiata su un letto di sabbia bianca. La mia pelle è sfiorata dal passaggio della brezza marina. Il suo soffio è un filo che mi lega a te per qualche istante. Che sarà per sempre.

I raggi di sole ci accarezzano lievi. Quella potente e strabiliante palla di fuoco ci guarda benevola. Anche la luna non vuole perdersi lo spettacolo e si fa timidamente notare in attesa di prendersi tutta la scena una volta che il sole sparirà tra le montagne. Ma ora la luce splende accecante e ci vorrà ancora tempo prima che si insinui sempre più affievolita tra gli anfratti dei canyon, tra le fessure di ogni roccia. Prima di decretare la fine del giorno calando maestosamente il sipario con un tramonto mozzafiato.

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L’acqua si fa più alta ed un brivido mi scorre lungo la schiena. Mi guardi. La tua voce è troppo lontana per capire ciò che dici, osservo il movimento della tua bocca. Ancora qualche tentennamento e poi faccio ciò che mi dici. Un tuffo, poi  alcune bracciate e subito la temperatura dell’acqua diventa piacevole. Immergo la testa. Sento i suoni ovattati del mare, vedo qualche pesce incuriosito a caccia di cibo. Riemergo. Che sensazione fantastica, che privilegio essere qui. Stavolta sono io a chiamarti ma sicuramente tu non mi puoi sentire. Come faccio a convincerti ad entrare in acqua? E’ così bello questo momento.

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20210923_110815Poi ti alzi, cammini con passo sicuro verso di me. Sorridi e fai un piccolo sussulto appena l’acqua, spinta da un’onda, cerca di afferrarti un piede. Vi ritraete entrambi e poi vi cercate ancora. I tentativi proseguono finché dopo quel lungo corteggiamento decidi di lasciarti andare. E’ troppo tardi per dar voce al tuo pentimento ed il freddo che ti assale per qualche istante non è sufficiente a farti tonare indietro. Poi sparisci d’un tratto. Riemergi un istante dopo. Di quanti istanti è fatta la vita, penso guardandoti. Questi sono quelli da cogliere, da custodire gelosamente nella nostra memoria così sovraffollata di pensieri superflui.

Ci avviciniamo e ci abbracciamo. Diventiamo un’entità unica. Ci trasmettiamo sensazioni, ci difendiamo a vicenda.

Ti stringo fortissimo perché sento che questo attimo si sta esaurendo. Il sole comincia a calare. L’acqua diventa sempre più agitata e fredda. La brezza si è rinforzata ed è diventata vento. Anche le nuvole mi fanno capire che siamo ai tioli di coda.

Mi ritrovo seduto sulla mia scomoda sedia. Non c’è il mare, non c’è  nessuna spiaggia.

Tu ci sei ancora per qualche istante. Sdraiata su un letto di sabbia bianca.

“Il sole può tramontare e risorgere; per noi quando la breve luce si spegne resta un’unica eterna notte  da dormire”
Gaio Valerio Catullo

Sequoia Park: L’incredibile storia degli alberi pensanti

La cima delle sequoie è annebbiata dalle nuvole che con lentezza  si adagiano sulla montagna. La neve ha imbiancato il paesaggio ed attutisce i rumori esterni. Il passo felpato di un cerbiatto fa capolino alla base di uno degli alberi del parco. Cerca dell’erba da brucare. Alza la testa, rimane immobile per qualche secondo e poi scompare tra la vegetazione. Turisti curiosi si intrufolano tra i sentieri osservando le giganti piante nella loro infinita altezza. Lo sguardo segue il maestoso tronco di legno dai riflessi arancioni illuminato da raggi di sole che si fanno spazio tra i rami dell’albero ed i disegni delle nuvole. Un giovane arbusto alto appena ventiquattro metri chiede al suo vicino spiegazioni riguardanti il luogo dove si trovano ed il perché. In questi ultimi duecentotrenta anni sono numerose le volte che si è rivolto ai suoi vicini. Attorno al suo tronco piccoli individui colorati lasciano delle impercettibili impronte che nemmeno degnano la sua attenzione. Il tempo per lui che vivrà forse più di duemila anni scorre in modo proporzionato. Al solito, le risposte che riceve dai compagni del fitto bosco non cambiano. E’ una sequoia sua coetanea a prenderlo in considerazione. “Sempre le solite domande. Ogni dieci, vent’anni te ne esci con queste curiosità” dice mentre il vento le smuove i rami come fossero enormi tentacoli. Non ha una voce. Gli alberi, si sa, non hanno bocca, orecchie, corde vocali e tutto ciò che è necessario per poter parlare o cantare. Le sequoie, come tutti gli esseri viventi, comunicano tra loro. Gli alberi di cui stiamo raccontando la storia, continuano “Queste domande sono difficili per noi. La risposta è laggiù, lo sai…” Il giovane non si scoraggia “Ormai è da qualche decina di anni che cerco di raggiungerlo ma non mi sente. Pensi che potrei…” La sequoia amica lo interrompe incitandolo “Certo, se davvero cerchi una risposta alle tue domande, l’unico che può aiutarti è il Generale Sherman.”

Il Generale è un albero piuttosto anziano che, dall’alto dei suoi circa duemilacinquecento anni, ha sempre una risposta pronta per tutti. E’ un po’ vanitoso e scorbutico vero, tant’è che nasconde la sua età esatta che nessuno conosce; leader infallibile quando ce ne stato il bisogno.

“Chissà se sei abbastanza alto da farti notare e sentire. Tra l’altro il Generale è anche un po’ sordo ultimamente. Tu provaci.”

La stagione potrebbe essere quella giusta visto il silenzio che regna tra la fitta vegetazione. Non circolano neanche tanti di quei fastidiosi puntini colorati che non si capisce bene per quale motivo si appiccicano alla base del mio tronco alla ricerca di improbabili abbracci. Pensò l’alberello.

Generale, Generale mi sente? Generale mi sente?”

Si alternarono giornate di sole, pioggia, neve, vento e tempeste. Poi ancora sole e caldo torrido.

Generale Sherman mi sente? Ho bisogno di chiederle una cosa!”

Stranamente, dopo soli quindici anni il Generale si degnò di dare ascolto al giovane albero.

“Mi hai chiamato giovanotto? In cosa posso esserti utile” sbofonchiò nel suo linguaggio la gigante sequoia.

“Quale onore! Mi stavo facendo alcune domande. Forse lei con tutta la sua saggezza dall’alto dei suoi ottantatre metri e dei suoi duemilacinquecento anni potrà darmi delle risposte…” Il Generale Sherman non gradì il fatto che venisse menzionata la sua presunta età “Chi ti dice che ho duemilacinquecento anni? Forse il mio aspetto tradisce una certa longevità? Poi ad essere precisi, sono alto 83,80 metri. Pensare che circa millenovecento anni fa ero il più piccolo della classe.”

“No assolutamente. Non era mia intenzione… Insomma, anzi… Il suo aspetto è meraviglioso. Anch’io magari un giorno potrò avere una massa come la sua…” Il Generale cominciò a spazientirsi “Massa come la mia? Intendi forse dire che la circonferenza di 31,30 metri mi appesantisce?”

La sequoia curiosa non sapeva più come uscirne. Passarono altri vent’anni poi continuò “Vede Generale mi chiedevo se poteva aiutarmi a capire il significato della vita. Qual’è il nostro scopo?”

Sherman non aveva risposte certe, come nessuno al mondo e non trapelò disagio nel dimostrarlo.

“Vedi giovanotto, non lo so qual’è il significato della nostra esistenza. Ti posso però garantire che in tutti questi anni, non tantissimi vero” ci tenne a sottolineare “ho visto succedere delle cose meravigliose. Questo mondo è strabiliante. Man mano che mi innalzo cambio la mia visione e le cose che appena nato mi sembravano invalicabili oggi faccio fatica a vederle laggiù in fondo” Quando il Generale Sherman raccontava le sue storie tutto il bosco si fermava a contemplarlo “Chissà giovane se ti sei accorto della presenza di quelle piccole bestiole che transitano tra di noi. Pensa che hanno la sfortuna di nascere, vivere e morire in un tempo così fulmineo. I cerbiatti, ad esempio, da quando abbiamo cominciato il nostro discorso, saranno scomparsi a migliaia. O gli uccelletti che ospitiamo da tempo immemore. Così fragili e passeggeri. Eppure sarebbe bastato che uno di quei cosi avesse mangiato il nostro seme o sradicato la prima radice che non esisterebbe il Generale Sherman o tutti noi alberi” Specificò “Che poi quando io ero ramoscello era da aver paura con le bestiacce che giravano. La vostra generazione è fortunata!”

La foresta rimase rapita dal discorso. Il giovane chiese lumi anche riguardo le piccole creature colorate che si muovevano attorno a loro. Le persone, le automobili.

“Ci siamo noi e ci sono queste minuscole cose che ci circondano. Ti dirò, questi frenetici idioti qualcosa stanno combinando perché in questi ultimi centocinquanta anni non è che si respira la stessa aria di prima; mi lasciano dubbioso anche le strisce grigie che si vedono qua è là e che fino a poco tempo fa non c’erano. Questi dove mettono mano combinano qualche disastro, ho già capito io…”

Al giovane albero rimase il dubbio iniziale. Solo il tempo avrebbe potuto donargli la saggezza per approfondire la sua curiosità ed avvicinarlo così alla verità.

Intanto nel bosco gli alberi apparentemente silenziosi continuavano a crescere e respirare. Nella praticità quotidiana continuavano ad essere l’indispensabile polmone del mondo.

Eppure, ne sono convinto, l’incredibile storia degli alberi pensanti è più vera di quanto si possa immaginare.

Vero Generale Sherman?

Anche un albero con il tronco così grande da non riuscire ad abbracciarlo ha inizio da un delicato germoglio.
(Proverbio cinese)